Possiamo essere certi che questi Commentari saranno conosciuti rapidamente
da cinquanta o sessanta persone; che non sono poche di questi tempi, e
trattando di questioni così gravi. Ma è anche perché in certi ambienti ho fama
di essere un intenditore. Bisogna inoltre considerare che la metà, o
pressappoco, dell'elite che si interesserà al libro è composta da persone la
cui occupazione è il mantenimento del sistema di dominio spettacolare, e
l'altra metà da persone che si ostineranno a fare tutto l'opposto. Dovendo
perciò tener conto di lettori attentissimi e diversamente influenti, non posso
ovviamente parlare in tutta libertà. Soprattutto devo stare attento a non
istruire troppo chiunque. La gravita dei tempi attuali mi costringerà quindi a
scrivere, ancora una volta, in maniera nuova. Certi elementi saranno volutamente
omessi; e il piano dovrà rimanere abbastanza oscuro. Si potrà incontrare, come
impronta tangibile dell'epoca, qualche tranello. A condizione di intercalare
qua e là numerose altre pagine, il senso totale può risultare chiaro: così,
assai spesso, articoli segreti sono stati aggiunti a quanto certi trattati
precisavano apertamente, e allo stesso modo succede che degli agenti chimici
rivelino una parte sconosciuta delle loro proprietà solo quando si trovano
associati ad altri. Del resto, in questo breve lavoro ci saranno anche troppe
cose che risulteranno, ahimè, di troppo facile comprensione.
II
Nel 1967 ho mostrato in un libro, La società dello spettacolo, ciò che
lo spettacolo moderno era già nella sua essenza: il regno autocratico
dell'economia mercantile elevato a uno statuto di sovranità irresponsabile, e
l'insieme delle nuove tecniche di governo che accompagnano tale regno. Dato che
le rivolte del 1968, prolungatesi in vari paesi nel corso degli anni
successivi, in nessun luogo hanno abbattuto l'organizzazione attuale della
società, da cui esso scaturisce quasi spontaneamente, lo spettacolo ha
continuato a consolidarsi ovunque, cioè ad estendersi alle estremità da tutti i
lati, e al tempo stesso ad accrescere la sua densità al centro. Ha perfino
appreso nuovi metodi difensivi, come avviene normalmente ai poteri attaccati.
Quando ho intrapreso la critica della società spettacolare è stato notato
soprattutto, dato il momento, il contenuto rivoluzionario che si poteva
ravvisare in tale critica, e naturalmente si è visto in esso il suo elemento
più deplorevole. Quanto alla cosa stessa, sono stato accusato a volte di averla
inventata di sana pianta, e sempre di avere esagerato intenzionalmente nel
valutare la profondità e l'unità di tale spettacolo e della sua azione
effettiva. Devo ammettere che in seguito gli altri, pubblicando nuovi libri
sullo stesso argomento, hanno dimostrato perfettamente che si poteva evitare di
dirne tanto. Hanno dovuto solo sostituire l'insieme e il suo movimento con un
unico dettaglio statico della superficie del fenomeno, scegliendolo ogni volta
diverso, e quindi tanto meno inquietante, secondo l'originalità di ogni autore.
Nessuno ha voluto alterare la modestia scientifica della sua interpretazione
personale inserendovi avventati giudizi storici. In definitiva però la società
dello spettacolo ha continuato ugualmente il suo corso. Procede in fretta,
perché nel 1967 aveva poco più di una quarantina d'anni dietro di sé; ma spesi
assai bene. E col suo movimento, che nessuno si prendeva più la briga di
studiare, ha dimostrato in seguito, con imprese straordinarie, che la sua
natura effettiva era proprio quella che io avevo indicato. Questa constatazione
non ha soltanto un valore accademico: perché era forse indispensabile avere
riconosciuto l'unità e l'articolazione di quella forza attiva che è lo
spettacolo, per essere quindi in grado di ricercare in quali direzioni tale
forza ha potuto muoversi, essendo ciò che era.. Sono questioni di grande
interesse: la continuazione del conflitto nella società si giocherà
necessariamente in tali condizioni. Dato che lo spettacolo è oggi indubbiamente
più potente di prima, come usa tale potenza supplementare? Fino a quale punto,
dove prima non si trovava, si è spinto? Quali sono insomma le sue linee di operazioni
in questo momento? La vaga sensazione che si tratti di una sorta di rapida
invasione, che obbliga la gente a cambiare radicalmente vita, è ormai
largamente diffusa; ma ciò è sentito piuttosto come una modificazione
misteriosa del clima o di un altro equilibrio naturale, modificazione di fronte
alla quale l'ignoranza sa solo di non aver niente da dire. Inoltre, molti
ammettono che si tratta di un'invasione civilizzatrice, peraltro inevitabile, e
hanno perfino voglia di collaborarvi. Costoro preferiscono non sapere a cosa
serve esattamente questa conquista, e come procede. Accennerò ad alcune
conseguenze pratiche, ancora poco note, risultanti dalla rapida espansione
dello spettacolo negli ultimi vent'anni. Non mi propongo di suscitare
polemiche, ormai troppo facili e troppo inutili, su nessun aspetto della
questione; né tanto meno mi propongo di convincere. Questi commentari non
intendono moraleggiare. Non considerano ciò che è auspicabile o semplicemente
preferibile. Si limiteranno a rilevare ciò che esiste.
III
Adesso che nessuno può ragionevolmente dubitare dell'esistenza e della
potenza dello spettacolo, possiamo in compenso dubitare che sia ragionevole
aggiungere qualcosa su una questione che l'esperienza ha liquidato in modo
tanto drastico. «Le Monde» del 19 settembre 1987 illustrava efficacemente la
formula «Di ciò che esiste, non c'è più bisogno di parlare», vera legge
fondamentale di questi tempi spettacolari che, almeno a questo riguardo, non
hanno lasciato indietro nessun paese: «Che la società contemporanea sia una
società dello spettacolo, è un fatto assodato. Presto si noteranno solo quelli
che non si fanno notare. Non si contano più le opere che descrivono un fenomeno
che sta caratterizzando tutte le nazioni industriali, senza risparmiare i paesi
in ritardo rispetto al loro tempo. Il buffo, però, è che i libri che
analizzano, generalmente per deplorarlo, questo fenomeno, devono a loro volta
adeguarsi allo spettacolo per farsi conoscere». In effetti questa critica
spettacolare dello spettacolo, tardiva e che per di più vorrebbe «farsi
conoscere» sullo stesso terreno, si limiterà necessariamente a vane
generalizzazioni o a ipocriti rimpianti; come sembra vana anche la saggezza
disillusa che sproloquia su un giornale. La vuota discussione sullo spettacolo,
ossia su ciò che fanno i proprietari del mondo, è così organizzata da esso
stesso: si insiste sui grandi mezzi dello spettacolo per non dire niente del
loro grande uso. Spesso si preferisce chiamarlo, invece che spettacolo, «il
mediale». E con questo termine si intende designare un semplice strumento, una
sorta di servizio pubblico che gestirebbe con imparziale «professionismo» la
nuova ricchezza della comunicazione di tutti attraverso i mass media,
comunicazione finalmente giunta alla purezza unilaterale, in cui la decisione
già presa si lascia tranquillamente ammirare. Ciò che è comunicato sono degli
ordini; e, in modo molto armonioso, coloro che li hanno dati sono anche quelli
che diranno ciò che ne pensano. Il potere dello spettacolo, così essenzialmente
unitario, centralizzatore per forza di cose, e completamente dispotico nello
spirito, si indigna assai spesso vedendo formarsi sotto il suo regno una
politica-spettacolo, una giustizia-spettacolo, una medicina-spettacolo o tanti
altri «eccessi mediali» così sorprendenti. Dunque lo spettacolo non sarebbe
altro che l'eccesso del mediale, la cui natura, indiscutibilmente buona dato
che serve a comunicare, è talvolta portata all'eccesso. Con una certa
frequenza, i padroni della società affermano di essere serviti male dai loro
dipendenti mediali; più spesso rimproverano alla plebe degli spettatori la
tendenza ad abbandonarsi senza ritegno, in modo quasi bestiale, ai piaceri dei
mass media. In questo modo si nasconderà, dietro una moltitudine virtualmente
infinita di presunte divergenze mediali, quello che è al contrario il risultato
di una convergenza spettacolare voluta con notevole tenacia. Come la logica
della mercé prevale sulle diverse ambizioni concorrenziali di tutti i
commercianti, o come la logica della guerra domina sempre le frequenti
trasformazioni degli armamenti, così la logica severa dello spettacolo comanda
ovunque l'estrema varietà degli eccessi mediali. Il cambiamento più importante,
in tutto ciò che è successo negli ultimi vent'anni, sta nella continuità stessa
nello spettacolo. Tale importanza non dipende dal perfezionamento della sua
strumentazione mediale, che già in precedenza aveva raggiunto uno stadio di
sviluppo molto avanzato: il fatto essenziale è semplicemente che il dominio
spettacolare abbia potuto allevare una generazione sottomessa alle sue leggi.
Le condizioni straordinariamente nuove in cui tale generazione, nel suo
complesso, ha effettivamente vissuto, costituiscono un riassunto preciso e
sufficiente di tutto ciò che ormai lo spettacolo impedisce; e anche di tutto
ciò che permette.
IV
Sul piano puramente teorico, dovrò aggiungere a quanto avevo formulato
in precedenza solo un dettaglio, ma carico di conseguenze. Nel 1967 distinguevo
due forme, successive e antagonistiche, del potere spettacolare: quella
concentrata e quella diffusa. Entrambe aleggiavano sulla società reale, come
suo scopo e sua menzogna. La prima, mettendo in risalto l'ideologia riassunta
intorno ad una personalità dittatoriale, aveva accompagnato la
controrivoluzione totalitaria, sia nazista che stalinista. L'altra, incitando i
salariati ad effettuare liberamente le loro scelte tra una grande varietà di
merci nuove in competizione, aveva costituito quel!'americanizzazione del mondo
che per certi aspetti spaventava, ma soprattutto affascinava i paesi in cui le
condizioni delle democrazie borghesi di tipo tradizionale avevano potuto
mantenersi più a lungo. Successivamente si è costituita una terza forma,
attraverso la combinazione ragionata delle due precedenti, e sulla base
generale di una vittoria di quella che si era mostrata più forte, la forma
diffusa. Si tratta dello spettacolare integrato, che tende ormai a imporsi su
scala mondiale. Il ruolo predominante già svolto dalla Russia e dalla (Germania
nella formazione dello spettacolare concentrato, e dagli Stati Uniti in quella
dello spettacolare diffuso, pare spettare alla Francia e all'Italia al momento
dell'introduzione dello spettacolare integrato, attraverso il gioco di una
serie di fattori storici comuni: ruolo importante del partito e del sindacato
stalinista nella vita politica e intellettuale, scarsa tradizione democratica,
lunga monopolizzazione del potere da parte di un unico partito di governo,
necessità di finirla con una contestazione rivoluzionaria apparsa di sorpresa.
Lo spettacolare integrato si manifesta al tempo stesso come concentrato e come
diffuso, e dall'inizio di questa fruttuosa unificazione ha saputo sfruttare
maggiormente entrambe le qualità. Le loro precedenti modalità di applicazione
sono molto cambiate. Per quanto riguarda l'aspetto concentrato, il suo centro
direttivo è ormai diventato occulto: non è più occupato da un capo conosciuto
né da un'ideologia precisa. Per quanto riguarda l'aspetto diffuso, l'influenza
spettacolare non aveva mai contrassegnato fino a questo punto la quasi totalità
dei comportamenti e degli oggetti prodotti socialmente. Perché in definitiva il
senso dello spettacolare integrato è che si è integrato nella realtà stessa man
mano che ne parlava; e che la ricostruiva come ne parlava. Così adesso questa
realtà non gli sta più di fronte come qualcosa di estraneo. Quando lo
spettacolare era concentrato gli sfuggiva la maggior parte della società
periferica; quando era diffuso, una piccola parte; oggi, niente. Lo spettacolo
si è mischiato a ogni realtà, irradiandola. Come era facilmente prevedibile sul
piano teorico, l'esperienza pratica della realizzazione sfrenata delle volontà
della ragione mercantile avrà dimostrato rapidamente e senza eccezioni che il divenir
mondo della falsificazione era anche un divenir-falsificazione del mondo.
Eccetto un patrimonio ancora cospicuo, ma destinato a ridursi sempre di più, di
libri e di edifici antichi, peraltro selezionati e disposti in prospettiva
sempre più spesso secondo le preferenze dello spettacolo, non esiste più nulla,
nella cultura e nella natura, che non sia stato trasformato, e inquinato,
secondo le capacità e gli interessi dell'industria moderna. La genetica stessa
è diventata pienamente accessibile alle forze dominanti della società.
Il governo dello spettacolo, che attualmente detiene tutti i mezzi per
falsificare l'insieme della produzione nonché della percezione, è padrone
assoluto dei ricordi e padrone incontrollato dei progetti che plasmano
l'avvenire più lontano. Egli regna da solo ovunque; egli esegue le sue sentenze
sommarie. In tali condizioni possiamo vedere scatenarsi all'improvviso, con un
tripudio carnevalesco, una fine parodistica della divisione del lavoro; tanto
più tempestiva in quanto coincide col movimento generale di scomparsa di ogni
autentica competenza. Un finanziere canta, un avvocato diventa informatore
della polizia, un fornaio espone le sue preferenze letterarie, un attore
governa, un cuoco disserta sui tempi di cottura come momenti essenziali della
storia universale. Ognuno può apparire improvvisamente nello spettacolo per
darsi pubblicamente, o a volte perché ci si è dedicato di nascosto, a
un'attività completamente diversa dalla specialità grazie alla quale si era
fatto conoscere finora. Dato che il possesso di uno «statuto mediale» ha
assunto un'importanza infinitamente maggiore del valore di ciò che si è stati
effettivamente capaci di fare, è normale che tale statuto sia facilmente
trasferibile, e conferisca il diritto di brillare allo stesso modo in qualsiasi
altro ruolo. Il più delle volte queste particelle mediali accelerate proseguono
la loro semplice carriera nell'ammirabile garantito statutariamente. Ma avviene
che la transizione dei mass media faccia da copertura tra molte imprese,
ufficialmente indipendenti ma di fatto collegate segre-liimcnte grazie a varie
reti ad hoc. Tanto che, a volte, la divisione sociale del lavoro e la
solidarietà comunemente prevedibile del suo uso riappaiono sotto forme
letalmente nuove: per esempio, è ormai possibile pubblicare un romanzo per
preparare un assassinio. Questi esempi pittoreschi significano anche che non
possiamo più fidarci di nessuno in rapporto al suo mestiere. Ma la massima
ambizione dello spettacolare integrato è pur sempre che gli agenti segreti
diventino dei rivoluzionari, e che i rivoluzionari diventino degli agenti
segreti.
V
La società modernizzata fino allo stadio dello spettacolare integrato è
contraddistinta dall'effetto combinato di cinque caratteristiche principali, che
sono: il continuo rinnovamento tecnologico; la fusione economico-statale; il
segreto generalizzato; il falso indiscutibile; un eterno presente. Il processo
di innovazione tecnologica dura da un pezzo, ed è costitutivo della società
capitalista, detta a volte industriale o postindustriale. Ma da quando ha avuto
la sua accelerazione più recente (all'indomani della seconda guerra mondiale),
rafforza sempre più incessantemente l'autorità spettacolare, perché grazie ad
essa ognuno si scopre abbandonato completamente all'insieme degli specialisti,
ai loro calcoli e ai loro giudizi sempre soddisfatti su tali calcoli. La
fusione economico-statale è la tendenza più manifesta di questo secolo; ed è
diventata quanto meno il motore dello sviluppo economico più recente.
L'alleanza difensiva e offensiva conclusa tra queste due potenze, l'economia e
lo Stato, ha assicurato loro i massimi benefici comuni, in tutti i campi:
possiamo dire che ognuna delle due possiede l'altra; è assurdo opporle, o
distinguere le loro ragioni o le loro follie. Inoltre questa unione si è
mostrata estremamente favorevole allo sviluppo del dominio spettacolare, il
quale precisamente non era altro fin dalla sua formazione. Le ultime tre
caratteristiche sono gli effetti diretti di questo dominio, al suo stadio
integrato.
Il segreto generalizzato sta dietro lo spettacolo, come complemento
decisivo di ciò che mostra e, se scendiamo al fondo delle cose, come la sua
operazione più importante. Il solo fatto di essere ormai indiscutibile ha
fornito al falso una qualità del tutto nuova. Allo stesso tempo, il vero ha
smesso di esistere quasi dappertutto, o nel migliore dei casi si è visto
ridotto allo stato di ipotesi indimostrabile. Il falso indiscutibile ha
ultimato la scomparsa dell'opinione pubblica, che in un primo tempo è stata
incapace di farsi sentire; e in seguito, molto rapidamente, anche solo di
formarsi. Naturalmente ciò provoca conseguenze importanti nella politica, nelle
scienze applicate, nella giustizia, nella conoscenza dell'arte. La costruzione
di un presente in cui la moda stessa, dall'abbigliamento ai cantanti, si è
immobilizzata, che vuole dimenticare il passato e che non da più l'impressione
di credere in un futuro, è ottenuta grazie all'incessante passaggio circolare
dell'informazione, che ritorna continuamente su una lista brevissima di inezie
sempre uguali, annunciate con passione come notizie importanti; mentre le
notizie veramente importanti, su ciò che effettivamente cambia, passano solo di
rado e per brevi baleni. Riguardano sempre la condanna che questo mondo pare
aver pronunciato contro la propria esistenza, le tappe della sua
autodistruzione programmata.
VI
L'intenzione originaria del dominio spettacolare era far sparire la
conoscenza storica in generale; e in primo luogo quasi tutte le informazioni e
tutti i commenti ragionevoli sul passato più recente. Un'evidenza così
flagrante non ha bisogno di essere spiegata. Lo spettacolo organizza
magistralmente l'ignoranza di ciò che succede e, subito dopo, l'oblio di ciò
che siamo riusciti ugualmente a sapere. La cosa più importante è la più
nascosta. Da vent'anni a questa parte niente è stato sommerso da tante bugie
imposte quanto la storia del maggio 1968. Tuttavia sono state tratte lezioni
utili da alcuni studi privi di mistificazioni su quelle giornate e sulle loro
origini; ma questo è segreto di Stato. In Francia, già dieci anni fa, un
presidente della Repubblica ormai dimenticato ma che allora galleggiava sulla
superficie dello spettacolo esprimeva ingenuamente la gioia che provava
«sapendo che vivremo ormai in un mondo senza memoria, in cui, come sulla
superficie dell'acqua, l'immagine scaccia indefinitamente l'immagine». In
effetti è comodo per chi è negli affari, e sa restarci. La fine della storia è
un piacevole riposo per ogni potere attuale. Gli garantisce assolutamente il
successo dell'insieme delle sue imprese, o almeno la notizia del successo. Un
potere assoluto sopprime tanto più radicalmente la storia quanto più sono
imperiosi gli interessi od obblighi che ha per farlo, e in particolare nella
misura in cui le agevolazioni pratiche di esecuzione che ha trovato sono più o
meno grandi. Ts'in Che Hoang Ti ha fatto bruciare i libri, ma non è riuscito a
farli sparire tutti. Stalin nel nostro secolo aveva spinto oltre la realizzazione
di tale progetto ma, nonostante le complicità di ogni sorta che ha potuto
trovare al di fuori delle frontiere del suo impero, restava una vasta zona del
mondo inaccessibile alla sua polizia, in cui si rideva delle sue imposture. Lo
spettacolare integrato ha fatto di meglio, con procedimenti nuovissimi e
operando stavolta su scala mondiale. Non è più permesso ridere
dell'inettitudine che si fa rispettare ovunque, o comunque è diventato
impossibile far sapere che se ne ride.
Il campo della storia era il memorabile, la totalità degli avvenimenti
le cui conseguenze si sarebbero manifestate a lungo. Inseparabilmente, la
conoscenza avrebbe dovuto durare, e aiutare a comprendere almeno in parte ciò
che sarebbe successo di nuovo: «un'acquisizione per sempre», dice Tucidide. In
tal modo la storia era la misura di un'autentica novità; e chi vende la novità
ha tutto l'interesse a far sparire il modo di misurarla. Quando l'importante si
fa riconoscere socialmente come ciò che è istantaneo e lo sarà ancora nell'istante
successivo, altro e identico, e che sarà sempre sostituito da un'altra
importanza istantanea, possiamo anche dire che il metodo usato garantisce una
sorta di eternità di questa non-importanza, che parla così forte. Il vantaggio
prezioso che lo spettacolo ha ricavato da questa messa al bando della storia,
dal fatto di aver già condannato tutta la storia recente a passare alla
clandestinità e di essere riuscito a far dimenticare in misura molto ampia lo
spirito storico all'interno della società, è innanzitutto l'occultamento della
propria storia: il movimento stesso della sua recente conquista del mondo. Il
suo potere appare già familiare come se fosse esistito da sempre. Tutti gli
usurpatori hanno voluto far dimenticare che sono appena arrivati.
VII
Con la distruzione della storia l'avvenimento contemporaneo stesso si
allontana immediatamente in una distanza favolosa, tra i suoi resoconti non
verificabili, le sue statistiche incontrollabili, le sue spiegazioni
inverosimili e i suoi ragionamenti indifendibili. Solo dei funzionar! mediali
potrebbero rispondere a tutte le idiozie avanzate per via spettacolare, con
qualche rettifica o rimostranza rispettosa, ma per giunta ne sono avari,
perché, oltre alla loro infinita ignoranza, la loro solidarietà, di mestiere e
di cuore con l'autorità generale dello spettacolo e con la società che esso
esprime impone loro il dovere, che è anche un piacere, di non allontanarsi mai
da tale autorità, la cui maestà non deve
7
essere lesa. Non bisogna dimenticare che ogni
funzionario mediale, sia tramite lo stipendio che tramite altre ricompense o
conguagli, ha sempre un padrone, e a volte parecchi; e che ogni funzionario
mediale sa di essere sostituibile. Tutti gli esperti sono mediali-statali, e
solo in quanto tali sono riconosciuti esperti. Ogni esperto serve il suo
padrone, perché tutte le antiche possibilità d'indipendenza sono state
pressappoco azzerate dalle condizioni di organizzazione della società attuale.
Naturalmente, l'esperto che serve meglio è l'esperto che mente. Coloro che
hanno bisogno dell'esperto sono, per motivi diversi, il falsificatore e
l'ignorante. Quando l'individuo non si raccapezza più da solo, sarà rassicurato
puntualmente dall'esperto. Prima era normale che ci fossero esperti di arte
etrusca; ed erano sempre competenti, perché l'arte etrusca non è sul mercato.
Ma per esempio, un'epoca che trova redditizio adulterare chimicamente tanti
vini famosi potrà venderli solo se ha formato degli esperti in vini che
indurranno le cantine ad apprezzare i nuovi sapori, più riconoscibili.
Cervantes osserva che «sotto un brutto mantello spesso troviamo un buon
bevitore». Chi conosce il vino spesso ignora le regole dell'industria nucleare;
ma il dominio spettacolare ritiene che dal momento che un esperto l'ha preso in
giro a proposito di industria nucleare, un altro esperto potrà pure prenderlo
in giro a proposito del vino. È noto, ad esempio, a quante riserve l'esperto in
meteorologia mediale che annuncia le temperature o le piogge previste per le
quarantotto ore successive è costretto dall'obbligo di mantenere equilibri
economici, turistici e regionali, quando tante persone circolano con tanta
frequenza su tante strade, da un luogo desolato a un altro; così che potrebbe
avere maggior successo come comico. Un aspetto della scomparsa di ogni
conoscenza storica oggettiva si manifesta a proposito di qualsiasi reputazione
personale, divenuta malleabile e rettificabile a piacere da parte di coloro che
controllano tutta l'informazione, quella che viene raccolta e anche quella,
assai diversa, che viene diffusa; essi sono dunque pienamente autorizzati a
falsificare. Perché un'evidenza storica che si vuole ignorare nello spettacolo
non è più un'evidenza. Quando a una persona rimane soltanto la fama
attribuitagli come un favore dalla benevolenza di una Corte spettacolare, può
cadere in disgrazia da un momento all'altro. Una notorietà antispettacolare è
diventata una cosa rarissima. Io sono uno degli ultimi viventi a possederne
una; a non averne mai avuta un'altra. Ma è diventata anche estremamente
sospetta. La società si è proclamata ufficialmente spettacolare. Essere noto al
di fuori delle relazioni spettacolari equivale già ad essere noto come nemico
della società. È lecito cambiare completamente il passato di qualcuno, modificarlo
radicalmente, ricrearlo nello stile dei processi di Mosca; e senza neppure
dover ricorrere alle lungaggini di un processo. È possibile uccidere con mi-nor
spesa. I falsi testimoni, goffi forse — ma quale capacità di avvertire questa
goffaggine rimarrà agli spettatori che saranno testimoni delle prodezze dei
falsi testimoni? — e i documenti falsi, sempre eccellenti, non possono mancare
a coloro che governano lo spettacolare integrato o ai loro amici. Non è perciò
più possibile credere, a proposito di qualcuno, niente che non sia stato
appreso per proprio conto, e direttamente. Ma, di fatto, ormai non c'è neanche
più tanto spesso bisogno di accusare falsamente qualcuno. Dal momento in cui si
detiene il meccanismo che comanda l'unica verifica sociale che si fa
riconoscere pienamente e universalmente, si dice quel che si vuole. Il
movimento della dimostrazione spettacolare si prova semplicemente girando in
tondo: tornando indietro, ripetendosi, continuando ad affermare sull'unico
terreno in cui risiede ormai ciò che si può affermare pubblicamente e far
credere, perché è solo di ciò che tutti saranno testimoni. Inoltre l'autorità
spettacolare può negare qualunque cosa, una, tre volte, e dire che non ne
parlerà più, e parlare d'altro; sapendo benissimo di non rischiare più
nessun'altra reazione sul proprio terreno né su un altro. Perché non esistono
più agorà, comunità generali; e neppure comunità limitate a corpi intermedi o
ad istituzioni autonome, a salotti o a caffè, ai lavoratori di una sola
azienda; non esiste luogo in cui il dibattito sulle verità che riguardano gli
interessati possa affrancarsi in modo duraturo dalla presenza opprimente del
discorso dei mass media e delle varie forze organizzate per assicurarne la
continuità. Ormai non esiste più il giudizio, garantito relativamente
indipendente, di coloro che costituivano il mondo degli studiosi; di coloro, ad
esempio, che un tempo riponevano il loro orgoglio in una capacità di verifica
che permetteva di avvicinarsi a quella che era chiamata la storia imparziale
dei fatti, di credere almeno che meritasse di essere conosciuta. Non c'è più
neppure una verità bibliografica incontestabile, e le sintesi computerizzate
degli schedari delle biblioteche nazionali potranno eliminarne le tracce tanto
più facilmente. Ci turberebbe pensare a ciò che furono non molto tempo fa i
magistrati, i medici, gli storici, e agli obblighi tassativi che spesso
riconoscevano come propri nei limiti delle loro competenze: gli uomini
assomigliano più al loro tempo che al loro padre. Ciò di cui lo spettacolo può
smettere di parlare per tre giorni è uguale a ciò che non esiste. Perché allora
parla di qualcos'altro, e quindi è quella la cosa che, a partire da quel
momento, in definitiva esiste. Appare chiaro che le conseguenze pratiche sono
immense. Credevamo di sapere che la storia era apparsa in Grecia con la
democrazia. Adesso possiamo verificare che la prima sta scomparendo dal mondo
con la seconda. Bisogna tuttavia aggiungere a questa lista dei trionfi del
potere un risultato per esso negativo: uno Stato nella cui gestione si insedia
in modo duraturo un grande deficit di conoscenze storiche non può più essere
guidato strategicamente.
VIII
Quando la società che si dichiara democratica è giunta allo stadio
dello spettacolare integrato, pare essere riconosciuta ovunque come la
realizzazione di una perfezione fragile. Di modo che, essendo fragile, non deve
più essere esposta ad attacchi; del resto non è più attaccabile, perché
perfetta come nessun'altra mai. È una società fragile perché stenta molto a
controllare la sua pericolosa espansione tecnologica. Ma è una società perfetta
da governare; prova ne è che tutti quelli che aspirano a governare vogliono
governare proprio quella, con gli stessi metodi, e mantenerla quasi esattamente
com'è. È la prima volta nell'Europa contemporanea che nessun partito o
frammento di partito tenta più anche solo di affermare che cercherà di cambiare
qualcosa di importante. La mercé non può più essere criticata da nessuno: né in
quanto sistema generale, né come una determinata paccottiglia che ai dirigenti
d'azienda è convenuto mettere momentaneamente sul mercato. Dovunque regni lo
spettacolo, le uniche forze organizzate sono quelle che vogliono lo spettacolo.
Perciò nessuna può essere nemica di ciò che esiste, né trasgredire l'omertà che
investe tutto. Ci siamo sbarazzati dell'inquietante concezione, che aveva
prevalso per più di duecento anni, secondo la quale una società poteva essere
criticabile e trasformabile, riformata o rivoluzionata. E ciò non è stato raggiunto
grazie alla comparsa di argomenti nuovi, ma semplicemente perché gli argomenti
sono diventati inutili. In base a tale risultato potremo misurare, piuttosto
che la felicità generale, la forza temibile delle reti della tirannia. Mai
censura è stata più perfetta. Mai l'opinione di quelli cui si fa ancora
credere, in certi paesi, che sono rimasti cittadini liberi, è stata meno
autorizzata a manifestarsi, ogni volta che si tratta di una scelta che
coinvolgerà la loro vita reale. Mai è stato permesso di mentire loro con
un'incoerenza tanto perfetta. Si presume semplicemente che lo spettatore ignori
tutto e non meriti nulla. Chi non fa che guardare per sapere il seguito, non
agirà mai: proprio così dev'essere lo spettatore. Si sente citare spesso
l'eccezione degli Stati Uniti, dove un giorno Nixon aveva finito col risentire
di una serie di denegazioni troppo cinicamente maldestre; ma questa eccezione
del tutto locale, che aveva qualche vecchia causa storica, non è palesemente
più vera, dato che di recente Reagan ha potuto fare la stessa cosa impunemente.
Tutto ciò che non è mai punito è in realtà permesso. Perciò è arcaico parlare
di scandalo. Si attribuisce a uno statista italiano di prim'ordine, che ha
fatto parte contemporaneamente del governo ufficiale e di quello parallelo
detto P.2, Potere Due, una battuta che riassume con molta efficacia il periodo
in cui, poco tempo dopo l'Italia e gli Stati Uniti, tutto il mondo è entrato:
«Ci sono stati degli scandali, ma ora non ce ne sono più». Ne //18 brumaio di Luigi
Bonaparte, Marx descriveva il ruolo invadente dello Stato nella Francia del
secondo impero, che contava all'epoca ben mezzo milione di funzionari: «Così
tutto diventò oggetto dell'attività governativa, dal ponte, dalla scuola, dalla
proprietà comunale di un villaggio fino alle ferrovie, alle proprietà nazionali
e alle università provinciali». La famosa questione del finanziamento dei
partiti si poneva già allora, perché Marx osserva che «i partiti che lottavano
a turno per la supremazia vedevano nell'appropriazione di quell'enorme edificio
la preda principale del vincitore». Ad ogni modo, ciò suona un po' bucolico e,
come si suoi dire, sorpassato, perché le speculazioni statali di oggi
riguardano piuttosto le città satelliti e le autostrade, la circolazione
sotterranea e la produzione di energia elettronucleare, la ricerca petrolifera
e i computer, l'amministrazione delle banche e i centri socioculturali, le
modificazioni del «paesaggio audiovisivo» e le esportazioni clandestine di
armi, la promozione immobiliare e l'industria farmaceutica, l'agroalimentare e
la gestione degli ospedali, i crediti militari e i fondi segreti del
dipartimento, in continua crescita, che deve amministrare i numerosi servizi di
protezione della società. Tuttavia Marx, il quale accenna nello stesso libro al
governo «che non prende di notte delle decisioni che vuole eseguire il giorno
dopo, ma decide di giorno ed esegue di notte», è disgraziatamente rimasto
troppo a lungo attuale.
IX
Questa democrazia così perfetta fabbrica da sé il suo inconcepibile
nemico, il terrorismo. Vuole infatti essere giudicata in base ai suoi nemici
piuttosto che in base ai suoi risultati. La storia del terrorismo è scritta
dallo Stato; quindi è educativa. Naturalmente le popolazioni spettatrici non possono
sapere tutto del terrorismo, ma possono sempre saperne abbastanza da essere
convinte che, rispetto al terrorismo, tutto il resto dovrà sembrar loro
abbastanza accettabile, e comunque più razionale e più democratico. La
modernizzazione della repressione ha finito col mettere a punto, in primo luogo
con l'esperienza pilota dell'Italia e sotto il nome di «pentiti», degli
accusatori professionisti giurati; quelli che alla loro prima apparizione, nel
Seicento, durante i disordini della Fronda, erano stati chiamati «testimoni
patentati». Questo progresso spettacolare della Giustizia ha popolato le
prigioni italiane di numerose migliaia di condannati che espiano una guerra
civile che non c'è stata, una specie di vasta insurrezione armata che
casualmente non ha mai visto arrivare la sua ora, un putschismo intessuto della
stoffa di cui sono fatti i sogni. Possiamo osservare che l'interpretazione dei
misteri del terrorismo pare aver introdotto una simmetria tra opinioni
contraddittorie; come se si trattasse di due scuole filosofiche che professino
costruzioni metafisiche assolutamente antagonistiche. Alcuni vedrebbero nel
terrorismo nient'altro che alcune evidenti manipolazioni da parte dei servizi
segreti; altri riterrebbero che al contrario bisogna rimproverare ai terroristi
unicamente la loro totale mancanza di senso storico. Il ricorso a un minimo di
logica storica permetterebbe di concludere piuttosto rapidamente che non c'è
niente di contraddit-torio nel considerare che anche persone che mancano di
qualsiasi senso storico possono essere manipolate; e che, anzi, possono esserlo
ancora più facilmente di altri. È inoltre più facile indurre a «pentirsi»
qualcuno a cui si può dimostrare che fin dall'inizio si sapeva tutto di ciò che
ha creduto di fare liberamente. Un effetto inevitabile delle forme di
organizzazione clandestina di tipo militare è che basta infiltrare poche
persone in certi punti della rete per farne marciare, e cadere, molte. La
critica, in tali questioni di valutazione delle lotte armate, dovrà analizzare
una volta o l'altra una di queste operazioni in particolare, senza lasciarsi
fuorviare dalla somiglianzà generale che tutte potrebbero eventualmente
assumere. Del resto, dovremmo aspettarci come cosa logicamente probabile che i
servizi di protezione dello Stato pensino a sfruttare tutti i vantaggi che
trovano sul terreno dello spettacolo, che da lunga data è stato organizzato
proprio per questo; semmai è la difficoltà di accorgersene che sorprende e
suona strana.
L'interesse attuale della giustizia repressiva in questo campo consiste
naturalmente nel generalizzare il più rapidamente possibile. L'importante, in
questo tipo di mercé, è l'imballaggio o l'etichetta: i codici a barre. Ogni
nemico della democrazia spettacolare equivale a un altro, come si equivalgono
tutte le democrazie spettacolari. Perciò non può più esser ci diritto d'asilo
per i terroristi e, anche se non si rinfaccia loro di esserlo stati, lo
diventeranno senz'altro, e l'estradizione s'impone. Nel novembre 1978, a
proposito del caso di Gabor Winter, giovane operaio tipografo accusato
principalmente, dal governo della Repubblica Federale Tedesca, di aver redatto
dei volantini rivoluzionari, Nicole Pradain, rappresentante del pubblico
ministero davanti alla sezione d'accusa della Corte d'appello di Parigi, ha
rapidamente dimostrato che «le motivazioni politiche», unica causa di rifiuto
di estradizione prevista dalla convenzione franco-tedesca del 29 novembre 1951,
non potevano essere invocate: «Gabor Winter non è un delinquente politico, ma
sociale. Rifiuta le costrizioni sociali. Un vero delinquente politico non ha un
senso di rifiuto nei confronti della società. Combatte le strutture politiche e
non, come Gabor Winter, le strutture sociali». La nozione di reato politico
rispettabile è stata riconosciuta in Europa solo a partire da quando la
borghesia aveva attaccato con successo le strutture sociali istituite
precedentemente. La qualifica di reato politico era inscindibile dalle varie
intenzioni della critica sociale. Questo era vero per Blanqui, Varlin, Durruti.
Così adesso si finge di voler conservare, come un lusso a buon mercato, un
reato puramente politico che magari nessuno avrà mai più occasione di
commettere, perché l'argomento non interessa più a nessuno, tranne agli stessi
professionisti della politica, i cui reati non sono quasi mai perseguiti e non
si chiamano politici neanch'essi. Tutti i reati e i crimini sono di fatto
sociali. Ma fra tutti i crimini sociali quello che dovrà essere considerato il
peggiore è la pretesa impertinente di voler ancora cambiare qualcosa in questa
società, che pensa di essere stata finora anche troppo buona e paziente; ma che
non vuole più essere criticata.
X
La distruzione della logica è stata perseguita, secondo gli interessi
fondamentali del nuovo sistema di dominio, con vari metodi che hanno agito
sostenendosi sempre l'un l'altro. Parecchi di questi metodi dipendono dalla
strumentazione tecnica sperimentata e resa popolare dallo spettacolo; ma certi
sono legati piuttosto alla psicologia di massa della sottomissione. Sul piano
delle tecniche, quando l'immagine costruita e scelta da qualcun altro è
diventata il rapporto principale dell'individuo col mondo, che egli prima
guardava da sé da ogni luogo in cui poteva andare, evidentemente non s'ignora che
l'immagine reggerà tutto; perché all'interno di una stessa immagine si può
giustapporre senza contraddizioni qualunque cosa. Il flusso delle immagini
travolge tutto, e analogamente è qualcun altro a dirigere a suo piacimento
questa sintesi semplificata del mondo sensibile; a scegliere dove andrà la
corrente e anche il ritmo di ciò che dovrà manifestarsi in essa, come eterna
sorpresa arbitraria, senza voler lasciare tempo alla riflessione, e
prescindendo completamente da ciò che lo spettatore ne può capire o pensare. In
questa esperienza concreta della sottomissione permanente sta la radice
psicologica dell'adesione così generale a ciò che è presente; adesione che
arriva a rico-noscergli ipsofacto un valore sufficiente. Ovviamente il discorso
spettacolare tace, oltre a ciò che è propriamente segreto, tutto ciò che non
gli conviene. Isola sempre da ciò che mostra la cornice, il passato, le
intenzioni, le conseguenze. Quindi è totalmente illogico. Dato che nessuno può
più contraddirlo, lo spettacolo ha il diritto di contraddirsi da sé, di
rettificare il suo passato. L'atteggiamento altero dei suoi servi quando devono
portare a conoscenza una nuova versione, e forse ancor più falsa, di certi
fatti, consiste nel correggere brutalmente l'ignoranza e le interpretazioni
sbagliate attribuite al pubblico, mentre erano essi stessi che si affrettavano
il giorno prima a diffondere quell'errore, con la loro abituale sicurezza.
Così, l'insegnamento dello spettacolo e l'ignoranza degli spettatori passano
indebitamente per fattori antagonistici, mentre in realtà si generano a
vicenda. Anche il linguaggio binario del computer è un'incitazione
irresistibile ad ammettere in ogni istante, senza riserve, ciò che è stato
programmato come meglio è parso a qualcun altro, spacciandolo per l'origine
atemporale di una logica superiore, imparziale e totale. Che risparmio di
velocità, e di vocabolario, per giudicare tutto! Politico? Sociale? Bisogna
scegliere. Ciò che è l'uno non può essere l'altro. La mia scelta s'impone. Ci
fischiano, e sappiamo per chi sono queste strutture. Perciò non c'è da stupirsi
che fin dall'infanzia gli scolari comincino facilmente, e con entusiasmo, dal
Sapere Assoluto dell'informatica: mentre ignorano sempre più la lettura, che
richiede un autentico giudizio ad ogni riga; e che è l'unica attività che
permette di accedere alla vasta esperienza umana prespettacolare. Perché la
conversazione è quasi morta, e presto lo saranno molti di quelli che sapevano
parlare. Sul piano dei modi di pensiero delle popolazioni contemporanee, la
prima causa della decadenza dipende chiaramente dal fatto che qualunque
discorso mostrato nello spettacolo non lascia nessuno spazio alla risposta; e
la logica si era formata socialmente soltanto nel dialogo. Inoltre, quando si è
diffuso il rispetto verso ciò che parla nello spettacolo, che si suppone
importante, ricco, prestigioso, che è l'autorità stessa, si diffonde anche la
tendenza tra gli spettatori a voler essere illogici quanto lo spettacolo, per
ostentare un riflesso individuale di quella autorità. Insomma, la logica non è
facile e nessuno ha avuto voglia di insegnarla. Nessun drogato studia la
logica; perché non ne ha più bisogno, e perché non ne ha più la possibilità.
Questa pigrizia dello spettatore è anche quella di qual-siasi funzionario
intellettuale, dello specialista formato in fretta, che cercherà in tutte le
circostanze di nascondere i limiti angusti delle sue nozioni con la ripetizione
dogmatica di qualche argomentazione di autorità illogica.
XI
Generalmente si ritiene che quelli che hanno dimostrato la massima
incapacità in fatto di logica sono proprio coloro che si sono proclamati
rivoluzionari. Questo rimprovero ingiustificato proviene da un'epoca anteriore,
in cui quasi tutti pensavano con un minimo di logica, con la palese eccezione
dei cretini e dei militanti; in questi ultimi la mancanza di logica si
accompagnava spesso alla malafede, voluta perché ritenuta efficace. Ma oggi non
è possibile trascurare il fatto che l'uso intensivo dello spettacolo ha, come
c'era da aspettarsi, reso ideologica la maggioranza dei contemporanei, per
quanto solo a tratti e a sbalzi. La mancanza di logica, ossia la perdita della
possibilità di riconoscere immediatamente ciò che è importante e ciò che è
secondario o non pertinente; ciò che è incompatibile o che al contrario
potrebbe essere complementare; tutto ciò che una data conseguenza implica e ciò
che, nello stesso momento, vieta; tale malattia è stata deliberatamente
iniettata a dosi massicce nella popolazione dagli anestesisti-rianimatori dello
spettacolo. I contestatori non erano affatto più irrazionali dei sottomessi.
Solo che in loro questa irrazionalità generale è visibile più intensamente,
perché ostentando il loro progetto hanno tentato di effettuare un'operazione
pratica, si trattasse anche solo di leggere certi testi dimostrando di capirne
il senso. Si sono assegnati vari obblighi di dominare la logica e perfino la
strategia, che è precisamente il campo completo dello spiegamento della logica
dialettica dei conflitti; mentre al contrario, proprio come gli altri, anche i
contestatori sono privi della semplice capacità di orientarsi con i vecchi
strumenti imperfetti della logica formale. Non se ne dubita riguardo a loro, ma
non ci si pensa affatto a proposito degli altri. Così, l'individuo, impoverito
e segnato nel profondo da questo pensiero spettacolare più che da ogni altro
elemento della sua formazione, si mette subito al servizio dell'ordine
costituito, mentre la sua intenzione soggettiva poteva anche essere
completamente contraria a tale risultato. Egli seguirà essenzialmente il
linguaggio dello spettacolo, perché è l'unico ad essergli familiare: quello in
cui gli è stato insegnato a parlare. Magari vorrà mostrarsi nemico della sua
retorica; ma userà la sua sintassi. È uno dei punti più importanti del successo
ottenuto dal dominio spettacolare. La scomparsa così rapida del vocabolario
preesistente è solo un momento di questa operazione, e la favorisce.
XII
La cancellazione della personalità accompagna fatalmente le condizioni
dell'esistenza sottomessa concretamente alle norme spettacolari, e in tal modo
sempre più separata dalle possibilità di conoscere esperienze auten-tiche,
scoprendo così le sue preferenze individuali. Paradossalmente, l'individuo
dovrà perennemente rinnegare se stesso, se tiene ad essere un po' considerato
in tale società. Infatti questa esistenza postula una fedeltà sempre mutevole,
una serie di adesioni continuamente deludenti a prodotti fasulli. Si tratta di
correre rapidamente dietro l'inflazione dei segni svalutati della vita. La
droga aiuta a conformarsi a questa organizzazione delle cose; la pazzia aiuta a
fuggirla. In tutti i tipi di affari di questa società, in cui la distribuzione
dei beni si è centralizzata in modo tale da diventare, in maniera allo stesso
tempo palese e segreta, detentrice della definizione stessa di ciò che potrà
essere il bene, succede che si attribuiscano a certe persone qualità o
conoscenze, o a volte addirittura vizi, del tutto immaginari per spiegare con
tali cause lo sviluppo soddisfacente di certe imprese; e tutto ciò con l'unico
scopo di nascondere, o almeno dissimulare il più possibile, la funzione di
varie intese che decidono di tutto. Tuttavia, a dispetto delle sue frequenti
intenzioni e dei suoi pesanti metodi per mettere in luce la dimensione piena di
molte personalità considerate eccezionali, la società attuale, e non solo
attraverso tutto ciò che ha sostituito le arti al giorno d'oggi o attraverso i
discorsi al riguardo, dimostra molto più spesso il contrario: la totale incapacità
si scontra con un'altra incapacità paragonabile; impazziscono, e fanno a gara
per mettersi in rotta. Succede che un avvocato, dimenticando di figurare in un
processo solo per rappresentare una determinata causa, si lasci influenzare
sinceramente da un ragionamento dell'avvocato suo avversario, anche quando tale
ragionamento non è più rigoroso del suo. Inoltre succede che un indiziato,
innocente, confessi momentaneamente un delitto che non ha commesso; per il
semplice motivo che era stato colpito dalla logica dell'ipotesi di un delatore
che voleva ritenerlo colpevole (caso del dottor Archambeau, a Poitiers, nel
1984). Lo stesso McLuhan, il primo apologeta dello spettacolo, che sembrava
l'imbecille più convinto del suo secolo, ha cambiato parere scoprendo
finalmente, nel 1976, che la «pressione dei mass media porta all'irrazionale» e
che sarebbe diventato urgente moderare il loro uso. In precedenza il pensatore
di Toronto aveva passato vari decenni a meravigliarsi delle molteplici libertà
procurate dal «villaggio planetario», istantaneamente accessibile a tutti senza
fatica. I villaggi, contrariamente alle città, sono sempre stati dominati dal
conformismo, dall'isolamento, dalla sorveglianza meschina, dalla noia, dalle
chiacchiere ripetute all'infinito sulle stesse famiglie. Ed è così che ormai si
presenta la volgarità del pianeta spettacolare, in cui non è più possibile
distinguere la dinastia dei Grimaldi-Monaco, o dei BorboniFranco, da quella che
aveva sostituito gli Stuart. Tuttavia oggi certi discepoli ingrati tentano di
far dimenticare McLuhan e di rispolverare le sue prime trovate, puntando a loro
volta a una carriera nell'elogio mediale di tutte le nuove libertà da
«scegliere» in modo aleatorio nell'effimero. E probabilmente rinnegheranno se
stessi più rapidamente del loro ispiratore.
XIII
Lo spettacolo non nasconde che l'ordine meraviglioso che ha istituito è
attorniato da alcuni pericoli. L'inquinamento degli oceani e la distruzione
delle foreste equatoriali minacciano il rinnovamento dell'ossigeno della Terra;
il suo strato di ozono stenta a resistere al progresso industriale; le
radiazioni di origine nucleare si accumulano in modo irreversibile. Lo
spettacolo conclude semplicemente che ciò non ha importanza. Vuole discutere
solo sulle date e sulle dosi. E, solo a questo proposito, riesce a
tranquillizzare; cosa che una mente prespettacolare avrebbe giudicato
impossibile. I metodi della democrazia spettacolare sono molto flessibili,
contrariamente alla semplice brutalità del diktat totalitario. Si può
conservare il nome quando la cosa è stata cambiata segretamente (della birra,
del manzo, un filosofo). Si può anche cambiare il nome quando la cosa è andata
avanti segretamente: per esempio in Inghilterra la fabbrica di trattamento
delle scorie nucleari di Windscale è stata indotta a chiamare Sellafield la
località dove ha sede per meglio dissipare i sospetti, dopo un incendio
disastroso nel 1957, ma questo trattamento toponimico non ha impedito l'aumento
della mortalità per cancro e leucemia nei dintorni. Il governo inglese, come
apprendiamo democraticamente trent'anni dopo, aveva deciso all'epoca di tenere
segreto un rapporto sulla catastrofe che giudicava, non a torto, in grado di
scuotere la fiducia che il pubblico accordava al nucleare. Le pratiche
nucleari, militari o civili, hanno bisogno di una dose di segreto più forte che
in qualsiasi altro campo, dove già, come è noto, ce ne vuole molto. Per
facilitare la vita, cioè le menzogne, degli specialisti eletti dai padroni di
questo sistema, si è scoperta l'utilità di cambiare anche le misure, di
variarle secondo un numero maggiore di punti di vista, di raffinarle per poter
giocare secondo i casi con parecchie di tali cifre difficilmente convertibili.
Così, per calcolare la radioattività abbiamo a disposizione le seguenti unità
di misura: il curie, il becquerel, il rontgen, il rad, alias centigray, il rem,
senza dimenticare il facile millirad e il sivert, che non è altro che un pezzo
da 100 rem. Tutto questo ricorda le suddivisioni della moneta inglese, così
complesse che gli stranieri stentavano ad assimilarle, ai tempi in cui
Sellafield si chiamava ancora Windscale. Possiamo immaginare il rigore e la
precisione che la storia delle guerre e di conseguenza i teorici della
strategia avrebbero potuto raggiungere nell'Ottocento se, per non fornire
informazioni troppo confidenziali ai commentatori neutrali o agli storici
nemici, ci si fosse attenuti abitualmente a render conto di una campagna in
questi termini: «La fase preliminare comporta una serie di scontri in cui,
dalla nostra parte, una solida avanguardia costituita da quattro generali e
dalle unità poste sotto il loro comando affronta un corpo nemico fornito di
13000 baionette. Nella fase successiva si sviluppa una battaglia campale,
combattuta a lungo, che ha coinvolto il nostro esercito al completo con i suoi
290 cannoni e la sua cavalleria forte di 18000 sciabole; mentre l'avversario
gli ha opposto truppe che allineavano non meno di 3600 tenenti di fanteria,
quaranta capitani di ussari e ventiquattro di corazzieri. Dopo successi e
insuccessi alterni da ambo le parti, nell'insieme l'esito della battaglia può
essere considerato incerto. Le nostre perdite, piuttosto al di sotto della
cifra media rilevata solitamente in combattimenti di pari intensità e durata,
sono sensibilmente superiori a quelle dei greci a Maratona, ma restano
inferiori a quelle dei prussiani a lena». Sulla base di questo esempio, non è
impossibile per uno specialista farsi un'idea vaga delle forze impegnate. Ma la
direzione delle operazioni resta sicuramente al di sopra di ogni giudizio. Nel
giugno 1987, Pierre Bacher, vice direttore tecnico della Società elettrica
francese, ha esposto la più recente dottrina per la sicurezza delle centrali
nucleari. Dotandole di paratoie e di filtri, diventa molto più facile evitare
le catastrofi gravi, la fessurazione o l'esplosione dell'area, che colpirebbero
una «regione» nel suo complesso. È il risultato che si ottiene a voler
confinare troppo. È meglio, ogni volta che la macchina da segno di sfuggire al
controllo, decomprimere lentamente, inondando una zona vicina di qualche
chilometro, zona che sarà ogni volta estesa in modo molto vario e aleatorio dal
capriccio dei venti. Bacher rivela che i prudenti tentativi compiuti a
Cadarache, nella Dròme, nei due anni precedenti «hanno dimostrato concretamente
che i rigetti — essenzialmente gassosi — non superano le poche unità per mille,
alla peggio l'uno per cento della radioattività che domina nell'area». Il
peggio resta quindi molto moderato: un uno per cento. Prima eravamo sicuri che
non c'era alcun rischio, tranne in caso di incidente, logicamente impossibile.
I primi anni di esperienza hanno cambiato tale ragionamento in questo modo:
dato che l'incidente è sempre possibile, occorre evitare che raggiunga una
soglia catastrofica, ed è facile. Basta contaminare volta per volta con
moderazione. Chi negherebbe che è infinitamente più sano limitarsi per qualche
anno a bere 140 centilitri di vodka al giorno invece di cominciare subito a
ubriacarsi come tanti polacchi? È certamente un peccato che la società umana si
scontri con problemi così scottanti proprio quando è diventato materialmente
impossibile far sentire la minima obiezione al discorso mercantile; quando il
dominio, proprio perché è dispensato dallo spettacolo da qual-siasi risposta
alle sue decisioni e giustificazioni frammentarie o deliranti, crede di non
aver più bisogno di pensare; ed effettivamente non sa più pensare. Per quanto
il democratico sia inflessibile, non preferirebbe che gli avessero scelto
padroni più intelligenti? La conferenza internazionale di esperti tenuta a
Ginevra nel dicembre 1986 verteva unicamente su un divieto mondiale di
produzione di clorofluorocarbonio, il gas che da poco tempo, ma a un ritmo
molto sostenuto, fa sparire il sottile strato di ozono che come forse si
ricorda proteggeva questo pianeta dagli effetti nocivi dell'irradiazione
cosmica. Daniel Verilhe, rappresentante della filiale di prodotti chimici di
Elf-Aquitaine, incluso in tale veste in una delegazione francese fermamente
contraria a questo divieto, faceva un'osservazione molto significativa: «Ci
vogliono tre anni buoni per mettere a punto eventuali sostituti e i costi
possono essere moltiplicati per quattro». Com'è noto, il fuggevole strato di
ozono, a una tale altitudine, non appartiene a nessuno, e non ha nessun valore
commerciale. Lo stratega industriale ha potuto così far misurare ai suoi
avversa-ri tutta la loro inspiegabile incuranza economica, con questo richiamo
alla realtà: «È molto rischioso basare una strategia industriale su imperativi
in materia di ambiente». Quanti già da un pezzo avevano iniziato a criticare
l'economia politica definendola «la negazione totale dell'uomo» non si erano
sbagliati. La si può constatare da questa spiritosaggine.
XIV
Si sente dire che ormai la scienza è subordinata a imperativi di
redditività economica; ciò è vero da sempre. Il fatto nuovo è che l'economia
abbia comincialo a fare apertamente guerra agli umani; non più soltanto alle
possibilità della loro vita, ma anche a quelle della loro sopravvivenza. È
stato allora che il pensiero scientifico ha scelto, contro gran parte del
proprio passato antischiavista, di servire il dominio spettacolare. Prima di
arrivare a questo punto la scienza godeva di una relativa autonomia. Perciò
sapeva pensare il suo briciolo di realtà; e in tal modo aveva potuto
contribuire immensamente ad aumentare i mezzi dell'economia. Quando l'economia
onnipotente è diventata folle, e i tempi spettacolari non sono altro che
questo, ha soppresso le ultime tracce dell'autonomia scientifica,
inscindibilmente sul piano metodologico e su quello delle condizioni pratiche
dell'attività dei «ricercatori». Non si chiede più alla scienza di capire il
mondo, o di migliorare qualcosa. Le si chiede di giustificare istantaneamente
tutto ciò che si fa. Stupido m questo campo come in tutti gli altri, da lui
sfruttati con l'irriflessione più nefasta, il dominio spettacolare ha fatto
abbattere l'albero gigantesco del sapere scientifico al solo fine di ricavarne
un manganello. Per obbedire a questa ultima domanda sociale di una
giustificazione manifestamente impossibile, è meglio non saper più pensare
troppo, ma essere al contrario abbastanza abituati alle comodità del discorso
spettacolare. I infatti è proprio in questa carriera che la scienza prostituita
di questi tempi spregevoli ha trovato prontamente la sua più recente
specializzazione, con molta buona volontà.
La scienza della giustificazione menzognera era apparsa naturalmente
fin dai primi sintomi di decadenza della società borghese, con la
proliferazione cancerosa delle pseudoscienze dette «umane»; ma, ad esempio, la
medicina moderna era riuscita per un certo tempo a spacciarsi per utile, e
coloro che avevano sconfitto il vaiolo o la lebbra erano ben diversi da quanti
hanno capitolato vigliaccamente di fronte alle radiazioni nucleari o alla
chimica agroalimentare. Si fa presto ad osservare che oggi la medicina non ha
più il diritto di difendere la salute della popolazione dall'ambiente patogeno,
perché ciò significherebbe opporsi allo Stato, o anche soltanto all'industria
farmaceutica. Ma non è soltanto per mezzo di ciò che è obbligata a tacere che
l'attuale attività scientifica confessa ciò che è diventata. È anche per mezzo
di ciò che essa molto spesso ha l'ingenuità di dire. Annunciando nel novembre
del 1985 di avere probabilmente scoperto un rimedio efficace contro l'Aids, i
professori Even e Andrieu dell'ospedale Laènnec suscitarono due giorni dopo,
essendo morti i pazienti, alcune riserve da parte di vari medici, meno avanzati
rispetto a loro o forse invidiosi, per il loro modo piuttosto precipitoso di
correre a far registrare quella che era solo un'apparenza ingannevole di
vittoria solo poche ore prima del crollo. E quelli si difesero senza scomporsi,
affermando che «dopo tutto meglio una falsa speranza che nessuna speranza».
Erano addirittura troppo ignoranti per riconoscere che questo solo argomento
bastava a rinnegare completamente lo spirito scientifico; e che storicamente
era sempre servito a mascherare le proficue fantasie dei ciarlatani e degli
stregoni, nei tempi in cui non si affidava loro la direzione degli ospedali.
Quando la scienza ufficiale arriva al punto di essere diretta in questo modo,
come tutto il resto dello spettacolo sociale che sotto una veste materialmente
ammodernata e arricchita non ha fatto altro che riprendere le antichissime
tecniche dei teatrini ambulanti — illusionisti, imbonitori e protettori —, non
possiamo stupirci vedendo la grande autorità che riacquistano parallelamente,
un po' dappertutto, i maghi e le sette, lo zen imballato sotto vuoto o la
teologia dei mormoni. L'ignoranza, che ha servito bene le potenze costituite, o
stata per di più sempre sfruttata da aziende ingegnose che si tenevano ai
margini delle leggi. Quale momento più propizio di quello in cui
l'analfabetismo ha fatto tanti progressi? Ma questa realtà è a sua volta negata
da un'altra dimostrazione di stregoneria. Al momento della sua fondazione
l'Unesco aveva adottato una definizione scientifica, molto precisa, dell'analfabetismo,
che si prefiggeva di combattere nei paesi arretrati. Quando si è visto
riapparire inopinatamente lo stesso fatto, ma stavolta nei paesi detti
avanzati, come qualcun altro che aspettando Grouchy vide spuntare Blucher nella
battaglia, è bastato gettare nella mischia le truppe scelte degli esperti; e
con un unico assalto irresistibile essi si sono affrettati a eliminare la
formula, sostituendo il termine analfabeta con quello di illetterato: così come
un «falso patriota» può comparire al momento giusto per sostenere una buona
causa nazionale. E per corroborare tra pedagoghi la pertinenza del nuovo
termine ci si affretta a far passare rapidamente, come se fosse ammessa da
sempre, una nuova definizione, secondo la quale mentre l'analfabeta era come si
sa colui che non aveva mai imparato a leggere, l'illetterato in senso moderno è
al contrario colui che ha imparato la lettura (e anzi l'ha imparata meglio di
prima, come possono freddamente testimoniare seduta stante i teorici e gli
storici ufficiali della pedagogia più dotati), ma che casualmente l'ha
dimenticata subito. Questa sorprendente spiegazione rischierebbe di essere meno
rassicurante che inquietante se non fosse così abile da evitare, sfiorandola
come se non la vedesse, la prima conseguenza che sarebbe venuta in niente a
ognuno in epoche più scientifiche: ovvero che quest'ultimo fenomeno meriterebbe
di essere a sua volta spiegato, e combattuto, perché non aveva mai potuto
essere osservato né immaginato da nessuna parte, prima dei recenti progressi
del pensiero avariato; quando la decadenza della spiegazione accompagna di pari
passo la decadenza della pratica.
XV
Più di cento anni fa il Nuovo dizionario dei sinonimi francesi di A.-L.
Sardou definiva le sfumature che bisogna cogliere tra: fallacieux, trompeur,
imposteur, sé-ducteur, insidieux, captieux (fallace, ingannevole, impostore,
seduttore, insidioso, capzioso); e che insieme costituiscono oggigiorno una
sorta di tavolozza dei colori che si confanno a un ritratto della società dello
spettacolo. Non spettava al suo tempo né alla sua esperienza di specialista il
compito di esporre con altrettanta chiarezza i significati vicini, ma molto
diversi, dei pericoli che normalmente deve prepararsi ad affrontare ogni gruppo
che si da alla sovversione, seguendo ad esempio questa gradazione: égaré,
provoqué, infiltré, ma-nipulé, usurpé, retourné (fuorviato, provocato,
infiltrato, manipolato, usurpato, deviato). Ad ogni modo queste sfumature
considerevoli non sono mai risultate chiare ai dottrinari della «lotta armata».
«Fallace, dal latino fallaciosus, abile o abituato ad ingannare, pieno di
ipocrisia: la desinenza di questo aggettivo equivale al superlativo di
ingannevole. Ciò che inganna o induce in errore in qualsiasi modo è
ingannevole: ciò che è fatto per ingannare, abusare, gettare nell'errore con un
proposito deliberato di ingannare con l'artificio e l'imponente apparato più
adatto a trarre in inganno, è fallace. Ingannevole è un termine generico e
vago; tutti i tipi di segni e di apparenze incerte sono ingannevoli: fallace
designa la falsità, l'ipocrisia, l'impostura calcolata; dei discorsi, delle
proteste, dei ragionamenti sofistici sono fallaci. Questo termine ha dei nessi
con impostore, seduttore, insidioso, capzioso, ma non ha equivalenti. Impostore
designa tutti i generi di false apparenze, o di trame concertate per trarre in
inganno o per nuocere; l'ipocrisia, ad esempio, la calunnia, ecc. Seduttore
esprime l'azione propria di impadronirsi di qualcuno, di fuorviarlo con mezzi
abili e insinuanti. Insidioso indica unicamente l'azione di tendere abilmente
dei tranelli e di farci cadere la vittima. Capzioso si limita all'azione
sottile di sorprendere qualcuno e di farlo cadere in errore. Fallace riassume
la maggior parte di questi aspetti».
XVI
11 concetto, ancora giovane, di disinformazione è stato importato
recentemente dalla Russia insieme a molte altre invenzioni utili alla gestione
degli Stati moderni. È sempre impiegato nel senso più alto da un potere, o come
corollario da persone che detengono un pezzo di autorità economica o politica
per mantenere ciò che è istituito; e sempre attribuendo a tale impiego una
funzione controffensiva. Ciò che può opporsi a una sola verità ufficiale
dev'essere necessariamente una disinformazione proveniente da potenze ostili, o
quanto meno da rivali, e deve essere stata intenzionalmente falsata per
malanimo. La disinformazione non è la semplice negazione di un fatto che
conviene alle autorità, o la semplice affermazione di un fatto loro sgradito:
questo si chiama psicosi. Contrariamente alla pura e semplice menzogna la
disinformazione, e qui il concetto diventa interessante per i difensori della
società dominante, deve fatalmente contenere una certa parte di verità, ma
deliberatamente manipolata da un abile nemico. Il potere che parla di
disinformazione non si crede assolutamente privo di difetti, ma sa che potrà
attribuire ad ogni critica precisa l'eccessiva inconsistenza che è nella natura
della disinformazione; e in questo modo non dovrà mai ammettere un difetto
particolare. Insomma, la disinformazione sarebbe il cattivo uso della verità.
Chi la diffonde è colpevole, e chi le crede, imbecille. Ma chi sarebbe dunque
l'abile nemico? In questo caso non può essere il terrorismo, che non rischia di
«disinformare» nessuno, perché è incaricato di rappresentare ontologicamente
l'errore più bislacco e meno ammissibile. Grazie alla sua etimologia e ai
ricordi contemporanei degli scontri limitati che verso la metà del secolo
opposero per breve tempo Est e Ovest, spettacolare concentrato e spettacolare
diffuso, il capitalismo dello spettacolare integrato fa tuttora finta di
credere che il capitalismo burocratico totalitario — presentato addirittura, a
volte, come il retroterra o l'ispirazione dei terroristi — resti il suo nemico
fondamentale, e il secondo dirà lo stesso del primo, nonostante le innumerevoli
prove della loro profonda alleanza e solidarietà. In realtà tutti i poteri
insediati, nonostante qualche effettiva rivalità locale, e senza volerlo mai
dire, pensano continuamente ciò che aveva ricordato un giorno, da parte
sovversiva e senza grande successo immediato, uno dei rari internazionalisti
tedeschi dopo l'inizio della guerra del 1914: «II nemico principale è nel
nostro paese». In definitiva la disinformazione è l'equivalente di ciò che «le
cattive passioni» rappresentavano nel discorso della guerra sociale
dell'Ottocento. È tutto ciò che è oscuro e rischierebbe di volersi opporre alla
straordinaria felicità di cui questa società, come ben sappiamo, fa beneficiare
coloro che le hanno dato fiducia; felicità che non può essere mai troppo pagata
con vari rischi o irrilevanti delusioni. E tutti quelli che vedono tale
felicità nello spettacolo ammettono che non c'è da lesinare sul prezzo; mentre
gli altri disinformano. L'altro vantaggio che si trova nel denunciare,
spiegandola in questo modo, una disinformazione assai particolare è che di
conseguenza il discorso complessivo dello spettacolo non può essere sospettato
di contenerla a sua volta, perché esso può designare, con la sicurezza più
scientifica, il terreno dove si riconosce la disinformazione: è tutto ciò che
si può dire e che non gli aggrada. Probabilmente è per sbaglio — a meno che non
si tratti piuttosto di un inganno deliberato — che di recente in Francia si è
ventilato il progetto di attribuire ufficialmente una sorta di marchio a del
materiale mediale «garantito senza disinformazione»: ciò offendeva certi
professionisti dei mass media, che volevano ancora credere, o più modestamente
far credere, di non essere effettivamente censurati già da ora. Ma soprattutto
il concetto di disinformazione non deve evidentemente essere usato
difensivamente, e ancor meno in una difensiva statica, rinforzando una muraglia
cinese, una linea Maginot che dovrebbe coprire completamente uno spazio che si
suppone vietato alla disinformazione. Bisogna che ci sia una disinformazione, e
che essa resti fluida, capace di passare dappertutto. Sarebbe stupido difendere
lo spettacolo là dove non è attaccato; e questo concetto si logorerebbe con
un'estrema velocità difendendolo, contro l'evidenza, su punti che devono al
contrario evitare di mobilitare l'attenzione. Inoltre, le autorità non hanno
alcun autentico bisogno di garantire che un'informazione precisa non contenga
disinformazione. E non ne hanno i mezzi: non sono così rispettate, e non
farebbero che attirare il sospetto sull'informazione in questione. Il concetto
di disinformazione è valido solo nel contrattacco. Bisogna mantenerlo in
seconda linea e poi lanciarlo immediatamente in avanti per respingere ogni
verità che si presenti.
Se talvolta rischia di apparire una sorta di disinformazione
disordinata, al servizio di alcuni interessi privati provvisoriamente in
conflitto, e di essere a sua volta creduta, diventando incontrollabile e opponendosi
in tal modo al lavoro complessivo di una disinformazione meno irresponsabile,
non è affatto il caso di temere che nella prima siano impegnati altri
manipolatori più esperti o più sottili: è semplicemente perché la
disinformazione si dispiega ormai in un mondo in cui non c'è più posto per
nessuna verifica. Il concetto confusionista di disinformazione è messo in
risalto per confutare istantaneamente, grazie semplicemente al suono del
termine, ogni critica che le varie agenzie di organizzazione del silenzio non
fossero riuscite a far sparire. Ad esempio, un giorno si potrebbe dire, se ciò
fosse utile, che questo scritto è un'impresa di disinformazione sullo
spettacolo; oppure di disinformazione ai danni della democrazia, che è lo
stesso. Contrariamente a quanto afferma il suo concetto spettacolare opposto,
la pratica della disinformazione non può che servire lo Stato qui e ora, sotto
la sua guida diretta, o per iniziativa di coloro che difendono gli stessi
valori. In realtà la disinformazione risiede in tutta l'informazione esistente;
e come suo carattere principale. È nominata soltanto dove occorre mantenere,
con l'intimidazione, la passività. Dove la disinformazione è nominata, non
esiste. Dove esiste, non la si nomina. Quando esistevano ancora delle ideologie
che si scontravano, che si proclamavano a favore o contro un dato aspetto
conosciuto della realtà, c'erano fanatici e bugiardi ma non «disinformatori».
Quando il rispetto per il consenso spettacolare, o perlomeno una volontà di
vanagloria spettacolare non permettono più di dire veramente a che cosa ci si
oppone, oppure ciò che si approva con tutte le sue conseguenze, ma ci si trova
spesso costretti a dissimulare un aspetto considerato per qualche motivo
pericoloso in ciò che si è supposti ammettere, allora si pratica la
disinformazione; come per disattenzione, o per dimenticanza, o per cosiddetto
falso ragionamento. Ad esempio, sul terreno della contestazione successiva al
1968, i ricuperatori inetti chiamati «pro situ» sono stati i primi disinformatori,
perché dissimulavano il più possibile le manifestazioni pratiche attraverso le
quali si era affermata la critica che sostenevano di condividere; e, senza
farsi scrupolo di indebolire l'enunciato, non citavano mai niente o nessuno,
per dare l'impressione di aver trovato qualcosa da se stessi.
XVII
Invertendo una famosa formula di Hegel notavo già nel 1967 che «nel
mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso». Gli anni trascorsi
da allora hanno dimostrato i progressi di questo principio in ogni campo
particolare, senza eccezioni. Così, in un'epoca in cui l'arte contemporanea non
può più esistere, diventa difficile giudicare le arti classiche. Qui come
altrove, l'ignoranza è prodotta solo per essere sfruttata. Nello stesso momento
in cui vanno perduti il senso della storia e il gusto, si organizzano reti di
falsificazione. È sufficiente disporre di esperti e di banditori, cosa
piuttosto facile, per far passare tutto, perché in certi affari, come in tutti
gli altri del resto, è la vendita ad autenticare ogni valore. Dopo, converrà ai
collezionisti o ai musei, soprattutto americani, strapieni di falsi, mantenerne
la buona reputazione, come il Fondo monetario internazionale mantiene la
finzione del valore positivo degli enormi debiti di cento nazioni.
Il falso forma il gusto e sostiene il falso, facendo sparire
volontariamente la possibilità di riferimento all'autentico. Si rifà
addirittura il vero, appena possibile, per farlo assomigliare al falso. Gli
americani, essendo i più ricchi e i più moderni, sono stati le vittime
principali di questo commercio del falso in arte. E sono proprio gli stessi a
finanziare i lavori di restauro di Versailles o della Cappella Sistina. Per
questo gli affreschi di Michelangelo dovranno acquistare colori ravvivati da
fumetto, e i mobili autentici di Versailles assumere il vivido splendore della
doratura che li farà assomigliare al falso mobilio d'epoca Luigi XIV importato
dispendiosamente nel Texas. Il giudizio di Feuerbach sul fatto che il suo tempo
preferiva «l'immagine alla cosa, la copia all'originale, la rappresentazione
alla realtà» è stato pienamente confermato dal secolo dello spettacolo, e
questo in numerosi campi in cui l'Ottocento era voluto restare lontano da
quella che era già la sua natura profonda: la produzione industriale
capitalista. In tal modo la borghesia aveva ampiamente diffuso lo spirito
rigoroso del museo, dell'oggetto originale, della critica storica esatta, del
documento autentico. Ma oggi l'artificiale tende a sostituire il vero dovunque.
A questo punto è provvidenziale che l'inquinamento dovuto al traffico costringa
a sostituire con copie di plastica i cavalli di Marly o le statue ro-maniche
del portale di Saint-Trophime. Insomma, tutto sarà più bello di prima, per
essere fotografato dai turisti. Probabilmente il colmo è stato raggiunto con il
ridicolo falso burocratico cinese delle grandi statue della vasta armata
industriale del Primo Imperatore, che tanti statisti in viaggio sono stati
invitati ad ammirare in si-tu. Ciò dimostra quindi, dato che si è potuto
prenderli in giro con tanta crudeltà, che nessuno disponeva, nella massa dei
consiglieri, di un solo individuo che conoscesse la storia dell'arte, in Cina o
fuori della Cina. È noto che hanno avuto un'istruzione particolare: «II computer
di Sua Eccellenza non ne è stato informato». La constatazione che, per la prima
volta, si può governare senza avere alcuna conoscenza dell'arte né alcun senso
dell'autentico o dell'impossibile potrebbe bastare da sola a far supporre che
tutti gli ingenui creduloni dell'economia e dell'amministrazione porteranno
probabilmente il mondo a una grande catastrofe; se la loro pratica effettiva
non l'avesse già dimostrato.
XVIII
La nostra società è costruita sul segreto, dalle «società schermo» che
mettono al riparo da qualsiasi luce i beni concentrati dei possidenti, fino al
«segreto difesa» che copre oggi un immenso territorio di piena libertà
extragiudiziale dello Stato; dai segreti, spesso terribili, della produzione
povera, nascosti dietro la pubblicità, alle proiezioni delle variabili di
futuro estrapolato, sulle quali il dominio è il solo a leggere lo sviluppo più
probabile di ciò di cui nega assolutamente l'esistenza, calcolando tuttavia le
risposte che fornirà misteriosamente. A questo proposito possiamo fare alcune
osservazioni. C'è un numero sempre maggiore di luoghi, nelle grandi città come
in alcuni spazi riservati della campagna, che sono inaccessibili, ossia
sorvegliati e protetti da tutti gli sguardi; che sono tenuti lontano dalla
curiosità innocente, e al riparo da ogni spionaggio. Senza essere propriamente
militari, sono organizzati su quel modello, escludendo ogni rischio di
controllo da parte di passanti o abitanti; o addirittura da parte della
polizia, che da un pezzo si è vista ridurre le sue funzioni alla sorveglianza e
alla repressione della delinquenza più comune. Così, in Italia, quando Aldo
Moro era prigioniero di Potere Due, non è stato tenuto rinchiuso in un edificio
più o meno introvabile, ma semplicemente in un edificio impenetrabile.
C'è un numero sempre maggiore di uomini formati per agire nel segreto;
istruiti ed esercitati a non far altro. Sono distaccamenti speciali di uomini
armati di archivi riservati, cioè di osservazioni e analisi segrete. E altri
sono armati di varie tecniche per lo sfruttamento e la manipolazione di questi
affari segreti. Infine, quando si tratta delle loro branche «Azione», possono
anche essere dotati di altre capacità di semplificazione dei problemi studiati.
Mentre i mezzi assegnati a questi uomini specializzati nella sorveglianza e
nell'influenza aumentano, trovano anche circostanze generali che li favoriscono
ogni anno di più. Ad esempio, quando le nuove condizioni della società dello
spettacolo integrato hanno costretto la sua critica a rimanere autenticamente
clandestina, non perché si nasconde ma perché è nascosta dalla massiccia
messinscena del pensiero del divertimento, coloro che sono comunque incaricati
di sorvegliare tale critica, e se necessario di smentirla, possono in
definitiva servirsi contro di essa delle risorse che sono tradizionali
nell'ambiente della clandestinità: provocazione, infiltrazioni e varie forme di
eliminazione della critica autentica a vantaggio di una falsa che avrà potuto
essere introdotta a tale scopo. L'incertezza cresce ogni momento, quando
l'impostura generale dello spettacolo si arricchisce della possibilità di
ricorrere a mille imposture particolari. Un delitto inspiegato può anche essere
definito suicidio, in prigione o altrove; e la dissoluzione della logica permette
inchieste e processi che decollano in verticale nell'assurdo, e che spesso sono
falsati fin dall'origine da stravaganti autopsie, praticate da strani esperti.
Da un pezzo ci siamo abituati a veder giustiziare sommariamente gente di ogni
tipo. I terroristi noti o considerati tali sono combattuti apertamente in modo
terroristico. Il Mossad va ad ammazzare lontano Abù Jihad, o i S.A.S. inglesi
degli irlandesi, o la polizia parallela del «G.A.L.» dei baschi. A loro volta
quelli che vengono fatti uccidere da presunti terroristi non sono scelti senza
motivi; ma è generalmente impossibile essere sicuri di conoscere questi motivi.
Si può sapere che la stazione di Bologna è saltata in aria perché l'Italia
continuasse ad essere ben governata; e cosa sono gli «Squadroni della morte» in
Brasile; e che la mafia può incendiare un albergo negli Stati Uniti per
appoggiare un racket. Ma come sapere a cosa hanno potuto servire, veramente, i
«folli omicidi del Brabante»? È difficile applicare il principio cui prodest?
in un mondo in cui tanti interessi operanti sono nascosti così bene. Di modo
che, sotto lo spettacolare integrato, si vive e si muore alla confluenza di
un'enorme quantità di misteri. Dicerie medial-poliziesche assumono subito, o al
massimo dopo essere state ripetute tre o quattro volte, il peso indiscusso di
prove storiche secolari. Secondo la leggendaria autorità dello spettacolo del
giorno, strani personaggi eliminati in silenzio riappaiono in veste di falsi
sopravvissuti, il cui ritorno potrà sempre essere evocato o calcolato, e
dimostrato dal più semplice «si dice» degli specialisti. Stanno da qualche
parte tra l'Acheronte e il Lete, questi morti che non sono stati regolarmente
sepolti dallo spettacolo; si presume che dormano nell'attesa che ci si degni di
svegliarli, tutti, il terrorista ridisceso dalle colline e il pirata tornato
dal mare; e il ladro che non ha più bisogno di rubare. Così l'incertezza è
organizzata dappertutto. La protezione del dominio procede molto spesso per
falsi attacchi di cui il trattamento mediale farà perdere di vista la vera
operazione: come la singolare azione di forza di Tejero e delle sue guardie
civili nelle Cortes, nel 1981, il cui fallimento doveva nascondere un altro
pronunciamiento più moderno, cioè mascherato, che è andato in porto. Il
fallimento altrettanto vistoso di un sabotaggio ad opera dei servizi speciali
francesi, nel 1985, in Nuova Zelanda è stato da alcuni considerato uno
stratagemma forse destinato a distogliere l'attenzione dai numerosi nuovi
impieghi di tali servizi, facendo credere alla loro grottesca goffaggine sia
nella scelta degli obiettivi che nelle modalità di esecuzione. Con maggiore
sicurezza si è ritenuto quasi ovunque che le ricerche geologiche di un
giacimento petrolifero nel sottosuolo della città di Parigi, effettuate
rumorosamente nell'autunno del 1986, non avessero altra seria intenzione che
quella di misurare fin dove era potuto arrivare il grado di ot-tundimento e di
sottomissione degli abitanti, mostrando loro una presunta ricerca del tutto
demenziale sul piano economico. Il potere è diventato così misterioso che, dopo
il caso delle vendite illegali di armi all'Iran da parte della presidenza degli
Stati Uniti, ci si è potuti chiedere chi comandava veramente negli Stati Uniti,
la potenza più forte del mondo detto democratico. E allora chi diavolo può
comandare il mondo democratico? A un livello più profondo, in questo mondo
ufficialmente così pieno di rispetto per tutte le necessità eco-nomiche,
nessuno sa mai quanto costa veramente qualsiasi cosa prodotta: infatti la parte
più importante del costo effettivo non è mai calcolata; e il resto è tenuto
segreto.
XIX
II generale Noriega si è fatto conoscere per un istante in tutto il
mondo all'inizio del 1988. Era dittatore senza carica di Panama, paese senza
esercito, in cui comandava la Guardia Nazionale. Perché Panama non è un vero
Stato sovrano: è stato scavato per il suo canale, e non l'inverso. Il dollaro è
la sua moneta, e anche il vero e proprio esercito che vi staziona è straniero.
Dunque Noriega aveva fatto tutta la sua carriera, perfettamente identica in
questo a quella di Jaruzelski in Polonia, come generale-poliziotto, al servizio
dell'occupante. Importava droga negli Stati Uniti, perché Panama non rende
abbastanza, ed esportava in Svizzera i suoi capitali «panamensi». Aveva
lavorato con la CI A contro Cuba, e per avere la copertura adatta alle sue
attività economiche aveva anche denunciato alle autorità americane, tanto
ossessionate da questo problema, un certo numero di suoi rivali nell'importazione.
Il suo consigliere principale in materia di sicurezza, invidiategli da
Washington, era il migliore sul mercato, Michael Ha-rari, ex ufficiale del
Mossad, il servizio segreto di Israele. Quando gli americani hanno voluto
disfarsi del personaggio, perché alcuni loro tribunali l'avevano
imprudentemente condannato, Noriega si è dichiarato pronto a difendersi anche
mille anni, per patriottismo panamense, contro il suo popolo insorto e al tempo
stesso contro gli stranieri; ha ottenuto subito l'approvazione pubblica dei
dittatori burocratici più austeri di Cuba e del Nicaragua, in nome dell'anti
imperialismo. Lungi dall'essere una stranezza strettamente panamense, questo
generale Noriega, che vende tutto e simula tutto, in un mondo che fa ovunque
altrettanto, era in ogni suo aspetto come tipo di uomo di un tipo di Stato,
come tipo di generale, come capitalista, perfettamente rappresentativo dello
spettacolare integrato; e dei successi che esso autorizza nelle direzioni più
disparate della sua politica interna e internazionale. È un modello di principe
del nostro tempo, e tra coloro che si destinano a salire e a restare al potere
in qualsia-si parte del mondo, i più capaci gli assomigliano molto. Non è
Panama che produce tali meraviglie, è la nostra epoca.
XX
Per ogni servizio segreto, in armonia su questo punto con la giusta
teoria clausewitziana della guerra, un sapere deve diventare un potere. Da qui
un servizio ricava attualmente il suo prestigio, il suo tipo di poesia
particolare. L'intelligenza, scacciata così radicalmente dallo spettacolo, che
non permette di agire e non dice gran che di vero sull'azione altrui, pare
quasi essersi rifugiata tra coloro che analizzano delle realtà, e agiscono di
nascosto su delle realtà. Recentemente, alcune rivelazioni che Margaret
Thatcher ha fatto di tutto per soffocare, ma invano, autenticandole in tal
modo, hanno dimostrato che in Inghilterra i servizi erano già stati in grado di
provocare la caduta di un ministero la cui politica sembrava loro pericolosa.
Così, il disprezzo generale che lo spettacolo suscita restituisce, per motivi
nuovi, un'attrattiva a quello che ai tempi di Kipling potè essere chiamato «il
grande gioco».
La «concezione poliziesca della storia» era nell'Ottocento
un'interpretazione reazionaria e ridicola, in un periodo in cui tanti
fortissimi movimenti sociali agitavano le masse. Gli pseudo-contestatari di
oggi lo sanno bene, per sentito dire o grazie a qualche libro, e credono che
quella conclusione sia rimasta vera in eterno. Non vogliono mai vedere la
pratica reale del loro tempo; perché è troppo triste per le loro frigide
speranze. Lo Stato non lo ignora, e ne approfitta. Nel momento in cui quasi
tutti gli aspetti della vita politica internazionale, e un numero crescente di
coloro che contano nella politica interna, sono diretti e mostrati secondo lo
stile dei servizi segreti, con inganni, disinformazione, duplice spiegazione —
quella che può nasconderne un'altra, o semplicemente averne l'aria — lo
spettacolo si limita a far conoscere il mondo noioso dell'incomprensibile
obbligatorio, una tediosa serie di romanzi polizieschi privi di vita e dove
manca sempre la conclusione. Qui la messinscena realista di una lotta di negri,
di notte, in una galleria, può rappresentare un espediente drammatico sufficiente.
L'imbecillità crede che tutto sia chiaro, quando la televisione ha mostrato una
bella immagine, e l'ha commentata con una coraggiosa menzogna. La semi-élite si
accontenta di sapere che quasi tutto è oscuro, ambivalente, «montato» in
funzione di codici sconosciuti. Un'elite più chiusa vorrebbe sapere il vero,
difficilissi-mo da distinguere chiaramente in ogni singolo caso, nonostante
tutti i dati riservati e le confidenze di cui può disporre. Per questo amerebbe
possedere il metodo della verità, ma si tratta quasi sempre di un amore
infelice.
XXI
II segreto domina questo mondo, in primo luogo come segreto del
dominio. Secondo lo spettacolo, il segreto non sarebbe che un'eccezione
necessaria alla regola dell'informazione offerta abbondantemente su tutta la
superficie della società, mentre il dominio, in questo «mondo libero» dello
spettacolare integrato, si sarebbe ridotto ad un semplice dipartimento
esecutivo al servizio della democrazia. Ma nessuno crede veramente allo
spettacolo. Come accettano gli spettatori l'esistenza del segreto, garanzia
sufficiente che essi non potrebbero amministrare un mondo di cui ignorano le
principali realtà, se per un caso improbabile si chiedesse davvero il loro
parere sul modo di farlo? È un fatto che il segreto non appare quasi a nessuno
nella sua purezza inaccessibile, e nella sua generalità funzionale. Tutti
ammettono che esista inevitabilmente un piccolo margine di segreto riservato
agli specialisti; e per la maggioranza delle cose, molti pensano di essere a
parte del segreto.
Nel Discours sur la servitude volontaire La Boétie ha mostrato come il
potere di un tiranno deve trovare numerosi appoggi nei circoli concentrici
degli individui che in esso trovano o credono di trovare un vantaggio. Allo
stesso modo molte persone, tra i politici o i funzio-nari mediali, lusingate
dal fatto di non poter essere sospettate di irresponsabilità, conoscono molte
cose tramite relazioni e confidenze. Chi è contento di essere a parte della
confidenza non è particolarmente portato a criticarla; quindi neanche a notare
che, in tutte le confidenze, la parte principale della realtà gli sarà sempre
nascosta. Grazie alla benevola protezione dei bari, conosce un po' più di
carte, ma possono essere false; ma mai il metodo che dirige e spiega il gioco.
Perciò s'identifica subito con i manipolatori, e disprezza l'ignoranza che in
fondo riguarda anche lui. Perché le briciole d'informazione offerte a questi
famigli della tirannia menzognera sono normalmente ammorbate dalla menzogna,
incontrollabili, manipolate. Tuttavia gratificano chi vi ha accesso, perché si
sente superiore a quanti non sanno niente. Esse del resto valgono soltanto per
far meglio approvare il dominio, e mai per capirlo effettivamente.
Costituiscono il privilegio degli spettatori di prima classe: quelli che hanno
l'idiozia di credere di poter capire qualcosa, non servendosi di ciò che è loro
nascosto, ma credendo a ciò che è loro rivelato! Il dominio è lucido almeno in
questo, che si aspetta dalla propria gestione, libera e senza ostacoli, un
numero piuttosto elevato di catastrofi di prima grandezza in un futuro
imminente, sia sui terreni ecologici, ad esempio chimico, che su quelli
economici, ad esempio bancario. Già da qualche tempo si è messo nella
situazione di poter trattare tali sciagure eccezionali usando un metodo diverso
da quello abituale della mite disinformazione.
XXII
Quanto agli assassini! sempre più numerosi da più di due decenni,
rimasti del tutto inspiegati — perché se talora è stata sacrificata qualche
comparsa, non ci si è mai sognati di risalire agli accomandanti — la loro
qualità di produzione in serie ha il suo marchio: le menzogne palesi, e
mutevoli, delle dichiarazioni ufficiali; Kennedy, Aldo Moro, Olaf Palme,
ministri o finanzieri, un paio di papi, altri che valevano più di loro. Questa
sindrome di una malattia sociale acquisita di recente si è diffusa rapidamente
un po' dappertutto, come se, partendo dai primi casi osservati, discendesse dai
vertici degli Stati, sfera tradizionale di questo tipo di attentati, e allo
stesso tempo risalisse dai bassifondi, altro luogo tradizionale dei traffici
illegali e delle coperture in cui si è sempre svolto questo tipo di guerra, tra
professionisti. Tali pratiche tendono a incontrarsi al centro di tutte le
questioni della Società, come se di fatto lo Stato non disdegnasse di
immischiarvisi, e come se la mafia riuscisse ad assurgervi; verificando in tal
modo una sorta di congiungimento. Si è sentito dire di tutto per tentare di
spiegare occasionalmente questo nuovo genere di misteri: incompetenza delle
polizie, stupidità dei giudici istruttori, rivelazioni inopportune della
stampa, crisi di crescita dei servizi segreti, malanimo dei testimoni, sciopero
settoriale dei delatori. Eppure Edgar Allan Poe aveva già trovato la direzione
sicura della verità, con il suo celebre ragionamento del Delitto della rue
Morgue. «Mi pare che il mistero sia considerato insolubile proprio per il
motivo che dovrebbe farlo ritenere di facile risoluzione — mi riferisco
all'aspetto eccessivo sotto il quale appare... In indagini come quella che ci
occupa, non dobbiamo tanto chiederci come si siano svolte le cose, quanto
esaminare in che cosa si distinguono da tutto ciò che è successo finora».
XXIII
Nel gennaio del 1988 la mafia colombiana della droga pubblicava un
comunicato destinato a rettificare l'opinione del pubblico sulla sua presunta
esistenza. L'esigenza principale di una mafia, dovunque possa esser-si formata,
è naturalmente di dimostrare di non esistere, o di essere stata vittima di
calunnie poco scientifiche; questo è il suo primo punto di contatto col
capitalismo. Ma in questo caso quella mafia, irritata dal fatto di essere
additata essa sola, è arrivata al punto di evocare gli altri raggruppamenti che
vorrebbero farsi dimenticare prendendola abusivamente come capro espiatorio. Il
comunicato diceva: «Noi non apparteniamo alla mafia burocratica e politica, né
a quella dei banchieri e dei finanzieri, né a quella dei milionari, né alla
mafia dei grandi contratti fraudolenti, dei monopoli o del petrolio, né a
quella dei grandi mezzi di comunicazione». È certo possibile ritenere che gli
autori di questa dichiarazione abbiano interesse a scaricare, come tutti gli
altri, le loro pratiche nel vasto fiume delle acque torbide della criminalità e
delle illegalità più comuni, che bagna la società contemporanea per tutta la
sua estensione; ma è anche giusto ammettere che queste persone sanno meglio di
altre, per la loro professione, di cosa parlano. La mafia trova dappertutto le
condizioni migliori sul terreno della società moderna. La sua crescita è rapida
quanto quella degli altri prodotti del lavoro col quale la società dello
spettacolare integrato plasma il suo mondo. La mafia aumenta con gli enormi
progressi dei computer e dell'alimentazione industriale, della ricostruzione
urbana integrale e delle bidonville, dei servizi speciali e dell'analfabetismo.
XXIV
Quando cominciò a manifestarsi
all'inizio del secolo
negli Stati Uniti, la mafia non era che un arcaismo trapiantato con l'immigrazione dei lavoratori siciliani; come le guerre di gang tra le società segrete
cinesi nello stesso momento comparivano sulla Costa Ovest. Fondata sull'oscurantismo e sulla miseria, a
quell'epoca la mafia non aveva la
possibilità di insediarsi neppure nell'Italia settentrionale. Sembrava
condannata a farsi ovunque da parte di fronte allo Stato moderno. Era una
forma di crimine organizzato che poteva prosperare solo sulla «protezione» di minoranze arretrate, fuori del mondo delle città, dove il controllo di
una polizia razionale e delle leggi della borghesia non poteva
penetrare. La tattica difensiva della mafia consisteva unicamente nella soppressione delle testimonianze, per neutralizzare la polizia e la
giustizia e far regnare nella propria sfera di attività il segreto che le era necessario. Ma in seguito le si è aperto un
campo nuovo nel nuovo
oscurantismo della
società dello spettacolare diffuso, poi integrato: con la vittoria totale del segreto, l'abdicazione generale dei cittadini,
la perdita completa
della logica e i progressi della venalità e della vigliaccheria universali, vennero a sommarsi
tutte le condizioni
favorevoli perché diventasse una potenza moderna, e offensiva.
Il
proibizionismo americano — grande esempio delle pretese degli Stati del secolo al
controllo autoritario di tutto, e dei risultati che ne derivano — ha lasciato per più di
un decennio al crimine organizzato la gestione del commercio dell'alcol. La mafia,
così arricchita e addestrata, si è collegata alla politica elettorale, agli affari,
allo sviluppo del mercato dei sicari professionisti, a certi aspetti della politica
internazionale. Così durante la seconda guerra mondiale fu invitata dal governo di
Washington a collaborare all'invasione della Sicilia. L'alcol, tornato ad essere legale,
è stato sostituito dagli stupefacenti, che hanno costituito da allora la mercé
principale dei consumi illegali. La mafia ha poi assunto una notevole importanza nel
settore immobiliare, nelle banche, nella grande politica e nei grandi
affari dello Stato, e in seguito nelle industrie dello spettacolo:
televisione, cinema, editoria. Negli Stati Uniti, ciò vale
anche per l'industria del disco, come in tutti i casi in cui la pubblicità di un
prodotto dipende da un numero abbastanza ristretto di persone. Si
può quindi fare facilmente pressione su di esse, comprandole o intimidendole,
dato che si dispone di capitali a sufficienza o di sicari che non possono
essere né riconosciuti né puniti. Corrompendo i disc-jockey, si decide quale dovrà aver
successo, tra merci ugualmente misere.
Probabilmente è in Italia che la
mafia, reduce dalle sue esperienze e conquiste americane, ha realizzato la forza più
grande: dall'epoca del suo compromesso storico con il governo parallelo, è
stata in grado di far uccidere giudici istruttori o capi della polizia:
pratica con cui aveva inaugurato la sua partecipazione alle montature del
«terrorismo» politico. In situazioni relativamente indipendenti, l'analoga evoluzione
dell'equivalente giapponese della mafia dimostra bene l'omogeneità della nostra
epoca.
Ci si
sbaglia ogni volta che si vuole spiegare qualcosa opponendo la mafia allo Stato: essi non sono mai in rivalità. La teoria verifica con facilità
ciò che tutte le dicerie della vita pratica avevano dimostrato troppo facilmente. La mafia non è un'estranea in
questo mondo: ci si trova
perfettamente a suo agio. Nell'epoca
dello spettacolare integrato, essa appare di fatto come il modello di tutte le imprese commerciali avanzate.
XXV
Con le nuove
condizioni attualmente predominanti nella società schiacciata sotto il tallone
di ferro dello spettacolo, notiamo ad esempio che un assassinio politico
è visto in una luce diversa; in un certo modo smorzata. Ci
sono molti più dementi di prima dappertutto, ma ciò che è infinitamente più comodo
è che se ne può parlare in modo demenziale. E tali spiegazioni
mediali non sono imposte da un qualsiasi terrore regnante. Al contrario, è
l'esistenza pacifica di tali spiegazioni che deve suscitare terrore.
Quando nel 1914, poco prima dello
scoppio della guerra, Villain assassinò Jaurès, nessuno dubitò che Villain,
individuo probabilmente un po' squilibrato, aveva ritenuto di dover uccidere Jaurès perché agli occhi degli estremisti della destra patriottica, che
avevano influenzato profondamente Villain, Jaurès appariva un uomo che sarebbe stato sicuramente nocivo per la
difesa del paese. Quegli estremisti avevano però sottovalutato
l'immensa forza del consenso patriottico nel partito socialista, che l'avrebbe
spinto rapidamente all'«unione sacra»; e
questo sia nel caso che Jaurès fosse
assassinato, sia nel caso che gli si lasciasse l'opportunità di perseverare
nella sua posizione internazionalista
di rifiuto della guerra. Oggi, di fronte a un simile avvenimento, i giornalisti-poliziotti, noti
esperti di «fatti sociali» e di
«terrorismo», direbbero subito che Villain
era conosciuto per i suoi
reiterati tentativi di omicidio, spinto
da una pulsione indirizzata ogni volta verso uomini che potevano professare
opinioni politiche disparate, ma che casualmente presentavano tutti una
somiglianza fisica o di abbigliamento con
Jaurès. Diversi psichiatri lo
confermerebbero, e i mass media, attestando
semplicemente tali affermazioni, attesterebbero la loro competenza e la loro imparzialità di esperti incomparabilmente autorizzati. In seguito, l'inchiesta ufficiale della polizia potrebbe portare, fin dal
giorno successivo, alla scoperta di varie persone rispettabili pronte a
testimoniare che Villain, ritenendo un giorno di essere stato mal servito alla «Chope du Croissant», aveva
minacciato ripetutamente in loro presenza di vendicarsi entro breve tempo del gestore del caffè, abbattendo
davanti a tutti e sul posto uno dei suoi migliori clienti.
Ciò non
significa che in passato la verità si imponesse con frequenza e rapidità: perché
alla fine Villain fu assolto
dalla Giustizia francese. Fu fucilato solo nel 1936, quando scoppiò la rivoluzione spagnola, perché aveva commesso l'imprudenza di risiedere alle
Baleari.
XXVI
Se vediamo
formarsi ovunque reti di influenza o società segrete, è perché ciò è voluto
tassativamente dalle nuove condizioni per una gestione proficua degli affari economici,
in una situazione in cui lo Stato ha un peso egemone nell'orientamento della produzione, e in cui la
domanda di ogni mercé dipende strettamente dalla centralizzazione realizzata dall'informazione-istigazione spettacolare, cui devono adattarsi anche le forme
della distribuzione. Si tratta quindi della conseguenza naturale del movimento di concentrazione dei
capitali, della produzione, della
distribuzione. In questo campo, ciò che
non si espande deve sparire; e nessuna azienda può espandersi se non con
i valori, le tecniche, i mezzi di ciò che
rappresentano oggi l'industria, lo spettacolo, lo Stato. Si tratta in ultima analisi dello sviluppo
particolare scelto dall'economia del nostro tempo, che arriva a imporre ovunque la formazione di nuovi
legami personali di dipendenza e di protezione.
Proprio in questo punto sta la profonda verità della formula, immediatamente comprensibile in tutta l'Italia, usata dalla
mafia siciliana: «Quando si hanno soldi e amici, si
ride della Giustizia». Nello spettacolare integrato, le
leggi dormono; perché non erano state fatte per le nuove tecniche di
produzione, e perché sono stravolte nella distribuzione
da intese di nuovo genere. Ciò che il pubblico pensa o
preferisce non ha più importanza, viene mascherato
dallo spettacolo dei tanti sondaggi elettorali,
d'opinione, di ristrutturazioni modernizzanti. Chiunque
siano i vincitori, il peggiore verrà acquistato dalla gentile clientela: perché è
proprio ciò che è stato prodotto per lei.
Si fa un gran parlare di «Stato di diritto» da quando lo Stato
moderno detto democratico ha smesso generalmente di esserlo: non è un caso che
l'espressione si sia diffusa solo poco dopo il 1970, e in un primo tempo proprio
in Italia. In vari campi si fanno addirittura delle leggi precisamente perché
siano stravolte da coloro che saranno in grado di farlo. In certe
circostanze l’illegalità, ad esempio intorno al commercio mondiale di armamenti
d'ogni tipo, e più spesso rispetto a prodotti della tecnologia più avanzata,
è solo una sorta di forza complementare dell'operazione economica: che sarà perciò
tanto più redditizia. Oggi molti affari sono necessariamente disonesti come lo è
il secolo, e non com'erano un tempo quelli praticati,
visibilmente in piccola serie, da chi aveva scelto la strada della
disonestà.
Con la
crescita delle reti di promozione-controllo per diffondere e controllare settori
sfruttabili del mercato, cresce anche il numero di servizi personali
che non possono essere rifiutati a coloro che sono al corrente e
che da parte loro non hanno negato il loro aiuto; e non si tratta
sempre solo dei poliziotti o dei custodi degli interessi o
della sicurezza dello Stato. Le complicità funzionali comunicano a grande
distanza e a lunga durata, perché le loro reti dispongono di tutti i
mezzi per imporre i sentimenti di gratitudine o di fedeltà, che purtroppo sono
sempre stati così rari nella libera attività dei tempi borghesi.
S'impara
sempre qualcosa dall'avversario. È accertato che anche gli uomini di Stato
sono stati indotti a leggere le osservazioni del giovane Lukàcs sui concetti di legalità
e di illegalità, quando hanno dovuto affrontare il passaggio effimero di una
nuova generazione del negativo — Omero ha detto che «una generazione di uomini passa
con la rapidità di una generazione di foglie». Da allora gli uomini di Stato
hanno potuto smettere come noi di preoccuparsi di qualsiasi tipo di ideologia
riguardo a questo problema; le pratiche della
società spettacolare infatti non
favorivano più nessuna illusione ideologica del genere. In fin dei conti, a
proposito di noi tutti, si potrà concludere che ciò che spesso ci ha
impedito di limitarci ad una sola attività illegale è il fatto che ne abbiamo avute
più d'una.
XXVII
Tucidide,
nel libro Vili, capitolo 66, della Guerra del Peloponneso dice, a
proposito dell'operato di un'altra cospirazione oligarchica, qualcosa che ha molte
affinità con la situazione in cui ci troviamo:
«Per di più,
coloro che prendevano la parola facevano parte del complotto e i discorsi
che pronunciavano erano stati sottoposti in precedenza all'esame dei loro amici.
Nessuna opposizione si manifestava tra i rimanenti cittadini, spaventati dal
numero dei congiurati. Quando qualcuno tentava di contraddirli
nonostante tutto, si trovava subito un sistema comodo per farlo morire. Gli
assassini non erano ricercati e nessuna azione giudiziaria era intentata contro i
sospetti. Il popolo non reagiva e la gente era così terrorizzata da
ritenersi fortunata, pur restando muta, di sfuggire alle violenze. Credendo i
congiurati molto più numerosi di quanti fossero, aveva un senso di totale
impotenza. La città era troppo grande e le persone non si conoscevano
abbastanza a vicenda da avere la possibilità di scoprire come stavano
veramente le cose. In tali condizioni, per quanto si fosse
indignati, non si poteva confidare a nessuno le proprie lagnanze. Pertanto occorreva
rinunciare a intentare un'azione contro i colpevoli, perché a tale scopo ci si
sarebbe dovuti rivolgere o a uno sconosciuto, o a un conoscente in cui non si aveva
fiducia. Nel partito democratico, le relazioni personali erano improntate ovunque
alla diffidenza e ci si chiedeva sempre se colui con cui si aveva
a che fare non fosse d'accordo di nascosto con i congiurati. Tra questi ultimi c'erano infatti uomini di cui non si sarebbe
mai creduto che potessero
aderire all'oligarchia».
Se la storia
dovrà tornare a noi dopo questa eclissi, cosa che dipende da fattori ancora in
conflitto e dunque da un esito che nessuno può escludere con certezza, un
giorno questi Commentati potranno servire a scrivere la
storia dello spettacolo: forse l'avvenimento più importante verificatosi in questo
secolo, e anche quello che ci si è meno arrischiati a spiegare. In
circostanze diverse, penso che avrei potuto considerarmi ampiamente
soddisfatto dal mio primo studio sull'argomento, e lasciare ad
altri il compito di esaminare il seguito. Ma nel momento in cui ci troviamo, mi è
sembrato che nessun altro l'avrebbe fatto.
XXVIII
Dalle reti
di promozione-controllo si passa impercettibilmente a quelle di
sorveglianza-disinformazione. Un tempo si cospirava sempre contro un ordine
costituito. Oggi, cospirare a suo favore è un nuovo mestiere
in grande sviluppo. Sotto il dominio spettacolare si cospira per
mantenerlo, e per garantire ciò che soltanto esso potrà chiamare
il suo buon andamento. Questa cospirazione fa parte del suo stesso
funzionamento.
Si sono già
iniziati a insediare alcuni mezzi per una sorta di guerra civile preventiva,
adatti a differenti proiezioni del futuro calcolato. Si tratta di
«organizzazioni specifiche», incaricate di intervenire su alcuni punti
precisi secondo i bisogni dello spettacolare integrato. Così è stata
prevista, per la peggiore eventualità, una tattica detta
scherzosamente «delle Tre Culture», in ricordo di una piazza
di Città del Messico nell'estate del 1968, ma stavolta senza usare i
guanti, e che inoltre dovrà essere applicata prima del giorno della rivolta. E all'infuori di casi così estremi non sarà
necessario, per fare di esso un buon metodo di governo, che l'assassinio inspiegato colpisca molta gente o si ripeta
con una certa frequenza:
il semplice fatto che si sappia che ne esiste la possibilità complica immediatamente i calcoli in
numerosissimi campi. Non
ha neppure bisogno di essere intelligentemente selettivo, ad hominem. L'impiego del procedimento in modo puramente aleatorio
potrebbe anzi essere più produttivo.
Ci si è
messi inoltre in una situazione in cui è possibile far comporre frammenti di
una critica sociale dell'allevamento, che non sarà
più affidata a docenti universitari o a funzionari mediali, che è
ormai meglio tenere lontani dalle fandonie troppo abituali in questo
dibattito. Si tratta di una critica migliore, lanciata e sfruttata in modo nuovo,
manovrata da un'altra specie di
professionisti, meglio formati. Cominciano ad essere pubblicati, in modo abbastanza confidenziale, testi lucidi, anonimi o firmati da
sconosciuti — tattica peraltro
facilitata dalla concentrazione di ciò che tutti sanno sui buffoni dello spettacolo, il che fa sì che degli sconosciuti sembrino oggi i più degni di
stima — non solo su temi che non
sono mai affrontati nello spettacolo,
ma anche con argomentazioni la cui giustezza è resa più sorprendente da un tipo di originalità, calcolabile, derivante dal fatto di non essere tutto
sommato mai state prima usate, pur essendo piuttosto evidenti. Questa
pratica può servire almeno come prima fase di iniziazione per reclutare menti un po' sveglie, cui si dirà in seguito, se sembreranno adatti, una dose
maggiore del probabile seguito. E
ciò che per alcuni sarà il primo
passo di una carriera sarà per altri — classificatisi meno bene — il primo gradino della trappola in
cui cadranno. In certi casi si tratta di creare, su questioni che rischierebbero di diventare scottanti,
un'altra pseudo-opinione critica;
e tra le due opinioni che così risultassero, entrambe estranee alle misere
convenzioni spettacolari, il giudizio ingenuo potrà oscillare indefinitamente, e la discussione per valutarle sarà rilanciata
ogni volta che converrà.
Più spesso si tratta di un discorso generale su ciò che è nascosto dai mass
media, e questo discorso potrà essere molto critico, e palesemente intelligente su alcuni punti, ma sempre restando
stranamente decentrato. I
temi e le parole sono stati selezionati in modo artificioso con l'aiuto di computer
informati sul pensiero critico.
In questi testi ci sono delle lacune, non molto evidenti ma pur sempre notevoli: il punto
di fuga della prospettiva
è sempre assente in modo anomalo. Assomigliano
al facsimile di un'arma famosa, cui manchi soltanto
il percussore. Si tratta necessariamente di una critica laterale, che vede molte cose in modo franco e giusto, ma mettendosi da parte, e questo non per
fingere una qualsiasi imparzialità, poiché deve anzi aver l'aria di biasimare molto, ma senza mai dare
l'impressione di sentire il bisogno di far apparire qual è la sua causa; e dunque di dire, anche implicitamente, da dove viene e dove vorrebbe andare.
A questa
specie di falsa critica antigiornalistica può unirsi la pratica organizzata
della diceria, che come si sa è originariamente una sorta di riscatto
selvaggio dell'informazione spettacolare, perché tutti avvertono in essa anche
solo vagamente un aspetto ingannevole, e quindi la scarsa fiducia che merita.
La diceria è stata un tempo superstiziosa, ingenua, autointossicata. Ma più
recentemente la sorveglianza ha cominciato a insediare nella
popolazione persone suscettibili di lanciare, al primo segnale, le dicerie più
convenienti. In questo campo si è deciso di applicare praticamente
le considerazioni di una teoria formulata quasi trent'anni fa, la cui origine si trova nella sociologia americana della pubblicità: la teoria degli individui
chiamati «locomotive», cioè
persone che altri nella loro cerchia saranno inclini a seguire e imitare; ma passando
stavolta dallo spontaneo
all'esperto. Inoltre sono stati attualmente messi a disposizione i mezzi,
budgetari o extrabudgetari, per mantenere molti elementi di riserva; accanto ai precedenti specialisti, universitari e
mediali, sociologi o poliziotti,
del passato recente. Credere che si applichino ancora meccanicamente modelli noti in passato è fuorviante quanto l'ignoranza
generale del passato. «Roma non è più a Roma»,
e la mafia non è più la teppa. E i servizi di sorveglianza e disinformazione assomigliano poco al lavoro dei poliziotti e dei
confidenti di una volta — per
esempio agli sbirri o alle spie del Secondo Impero — proprio come i servizi
speciali attuali, in tutti i paesi,
assomigliano poco alle attività degli
ufficiali del Deuxième Bureau dello stato maggiore dell'Esercito nel 1914.
Da quando
l'arte è morta, è diventato facilissimo, com'è noto, travestire dei poliziotti da
artisti. Quando le ultime imitazioni di un neodadaismo stravolto sono autorizzate a
pontificare gloriosamente nei mass media, e quindi anche a modificare un po'
l'arredamento dei palazzi ufficiali, come i buffoni dei re di paccottiglia,
vediamo
che al tempo stesso una copertura culturale è garantita a tutti gli agenti o alle
riserve delle reti d'influenza dello Stato. Si aprono pseudomusei
vuoti, o pseudocentri di ricerca sull'opera completa di un personaggio
inesistente con la stessa velocità con cui si crea la fama di
giornalisti-poliziotti, o di storici-poliziotti, o di romanzieri-poliziotti.
Probabilmente Athur Cravan vedeva profilarsi questo mondo quando
scriveva in Maintenant: «Presto per la strada non vedremo più
che artisti, e faremo una gran fatica a scorgere un uomo». È proprio
questo il senso della versione aggiornata di una vecchia battuta dei
teppistelli parigini: «Salve, artisti! Se mi sbaglio, pazienza».
Poiché le
cose sono arrivate al punto in cui si trovano, possiamo vedere alcuni autori
collettivi impiegati dall'editoria più moderna, ossia quella che si è data la migliore
diffusione commerciale. Poiché l'autenticità dei loro pseudonimi è assicurata solo dai
giornali, essi se li passano, collaborano, si sostituiscono, assumono nuovi cervelli
artificiali. Si sono presi l'incarico di esprimere lo stile di
vita e di pensiero dell'epoca, non in virtù della loro personalità, ma dietro
ordini. Perciò quanti credono che si tratti di veri imprenditori
letterari individuali, indipendenti, possono arrivare al punto di assicurare
sapientemente che adesso Bucasse si è arrabbiato col conte di Lautréamont; che Dumas
non è Macquet, e che soprattutto non bisogna confondere Erckmann con Chatrian;
che Censier e Daubenton non si parlano più. Meglio sarebbe dire che questo tipo
di autori moderni ha voluto seguire Rimbaud, almeno nell'affermare che «io è un
altro».
Secondo
l'intera storia della società spettacolare i servizi segreti erano destinati a
svolgere il ruolo di piattaforma centrale girevole; perché in essi si
concentrano al massimo grado le caratteristiche e i mezzi di esecuzione
di una simile società. Essi vengono inoltre sempre più incaricati di arbitrare gli
interessi generali di questa società, anche se sotto la modesta
qualifica di «servizi». Non si tratta di abusi, perché esprimono fedelmente i
costumi abituali del secolo dello spettacolo. Sorveglianti e sorvegliati fuggono così
su un oceano senza confini. Lo spettacolo ha fatto trionfare il segreto,
ed
esso dovrà essere sempre di più nelle mani degli specialisti del
segreto, che naturalmente non sono tutti funzionari,
destinati a rendersi autonomi, a vari livelli, dal controllo dello Stato; che non sono tutti
funzionari.
XXIX
Una legge
generale del funzionamento dello spettacolo integrato, almeno per coloro che
ne gestiscono
la direzione, è che, in questo
ambito, tutto ciò che si può fare dev'essere fatto. In altre
parole ogni nuovo strumento dev'essere utilizzato, a qualsiasi
costo. L'attrezzatura nuova diventa ovunque il fine e il motore del sistema;
e sarà l'unica a poter modificare in modo considerevole il suo andamento, ogni volta
che il suo uso si sarà imposto senza altre riflessioni. I proprietari della
società
vogliono infatti mantenere, innanzitutto, un certo «rapporto sociale tra le persone»,
ma devono anche perseguire il rinnovamento tecnologico continuo; perché
questo è stato uno degli obblighi che hanno accettato insieme
all'eredità. Perciò questa legge si applica anche ai servizi che proteggono il
dominio. Lo strumento messo a punto dev'essere usato, e il suo uso rafforzerà le
condizioni stesse che favorivano tale uso. I procedimenti
d'emergenza diventano così procedure di sempre.
La coerenza
della società dello spettacolo ha dato ragione in un certo modo ai
rivoluzionari, perché è ormai chiaro che non si può riformare il suo
dettaglio più insignificante senza disfare l'insieme. Allo stesso tempo
però questa coerenza ha soppresso ogni tendenza rivoluzionaria
organizzata, sopprimendo i terreni sociali in cui essa aveva potuto
esprimersi più o meno bene: dal sindacalismo ai giornali, dalla città ai
libri. In una sola volta si è potuto mettere in luce l'incompetenza e
l'irriflessione che tale tendenza portava in sé del tutto naturalmente. E sul
piano individuale, la coerenza dominante è capacissima di eliminare
o di comprare certe eventuali eccezioni.
XXX
La
sorveglianza potrebbe essere molto più pericolosa se non fosse stata spinta, sulla
strada del controllo assoluto di tutti, fino a un punto in
cui incontra difficoltà derivanti dai suoi stessi progressi. C'è una contraddizione tra la massa delle
informazioni raccolte su un
numero crescente di individui, e il tempo e l'intelligenza di cui si dispone per
analizzarle; o semplicemente
il loro possibile interesse. L'abbondanza del materiale costringe a riassumerlo a ogni
livello: una parte considerevole
scompare, e il resto è sempre troppo lungo per essere letto. La direzione della sorveglianza e
della manipolazione non è
unificata. Infatti si lotta ovunque per la spartizione dei profitti; e quindi anche per lo sviluppo
prioritario di una data virtualità della società esistente, a scapito di tutte le altre
virtualità che pure, a patto
che siano dello stesso stampo, sono reputate anch'esse rispettabili.
Si lotta anche per gioco. Ogni
funzionario impegnato è
portato a sopravvalutare i suoi agenti e anche gli avversari di cui si occupa. Ogni paese, per non parlare delle numerose alleanze sopranazionali, possiede
attualmente un numero indeterminato
di servizi di polizia o di
controspionaggio, e di servizi segreti, statali o parastatali. Inoltre
esistono molte compagnie private che si occupano di sorveglianza, protezione,
informazioni. Le grandi
multinazionali hanno naturalmente i loro servizi; ma anche aziende nazionalizzate, pur di modeste dimensioni, svolgono ugualmente la loro politica
indipendente, sul piano nazionale e
a volte internazionale. È possibile vedere un raggruppamento industriale nucleare opporsi a un raggruppamento petrolifero,
pur essendo entrambi di proprietà
dello stesso Stato e per giunta
uniti l'uno all'altro dialetticamente dall'interesse a mantenere elevato il corso del petrolio sul
mercato mondiale. Ogni servizio di
sicurezza di un'industria privata combatte il sabotaggio di cui è oggetto, e
all'occorren-za lo organizza contro il rivale: chi ripone grandi interessi in un tunnel sottomarino è favorevole
all'insicurezza dei ferry-boat e può
assoldare dei giornali in difficoltà
per farne parlare alla prima occasione, e senza troppo lunghe riflessioni; e chi fa concorrenza alla Sandoz è indifferente alle falde freatiche della
valle del Reno. Si sorveglia segretamente ciò che è segreto. Di modo che ognuno di questi organismi, confederati in
modo molto elastico intorno ai
responsabili della ragion di
Stato, aspira per proprio conto
a una specie di egemonia insensata. Perché il senso è andato perduto insieme al centro conoscibile.
La società
moderna, che fino al 1968 passava da un successo all'altro e si era convinta
di essere amata, ha dovuto rinunciare da allora a questi sogni; preferisce essere
temuta. Sa bene che «la sua aria innocente non tornerà più».
Così, mille
complotti a favore dell'ordine costituito s'ingarbugliano e si combattono un
po' ovunque, con l'intreccio
sempre accresciuto delle reti e delle vicende o azioni segrete; e il loro processo
di integrazione rapida in ogni ramo dell'economia, della politica, della cultura. La
gradazione del miscuglio di osservatori, di disinformatori, di affari speciali
aumenta di continuo in tutti i settori della vita sociale. Dato che
il complotto generale è diventato così denso da mostrarsi quasi alla luce del
sole, ognuna delle sue diramazioni può cominciare a disturbare o a preoccupare
l'altra, perché tutti questi cospiratori professionisti arrivano al punto di osservarsi
senza sapere esattamente perché, o s'incontrano casualmente senza potersi
riconoscere con sicurezza. Chi vuole osservare chi? Per conto di chi, apparentemente? Ma
in realtà? Le vere influenze rimangono nascoste, e le intenzioni finali possono
essere sospettate solo con un certo sforzo, e quasi mai capite. Così nessuno può
dire che non viene ingannato o manipolato, ma solo in rare occasioni il
manipolatore stesso è in grado di sapere se ha vinto. Del resto, il
fatto di trovarsi dalla parte vincente della manipolazione non significa che la
prospettiva strategica sia stata ben scelta. In questo modo dei
successi tattici possono impantanare grandi forze su cattive strade.
In una
stessa rete, che apparentemente persegue uno stesso fine, coloro che costituiscono
solo una parte della rete sono costretti ad ignorare tutte le ipotesi e le conclusioni
delle altre parti, e soprattutto del loro nucleo dirigente. Il fatto risaputo che tutte
le informazioni su qualsiasi soggetto osservato possono anche essere del tutto
immaginarie, o falsate in modo grave, o interpretate molto inadeguatamente, complica e
rende poco sicuri, in larga misura, i calcoli degli inquisitori;
perché ciò che basta per far condannare qualcuno non è altrettanto sicuro
quando si tratta di conoscerlo o di utilizzarlo. Visto che le fonti
d'informazioni sono rivali, lo sono anche le falsificazioni.
È in base a
tali condizioni del suo esercizio che si può parlare di una tendenza alla
redditività decrescente del controllo, man mano che si avvicina alla
totalità dello spazio sociale, e che di conseguenza il suo personale e i
suoi mezzi aumentano. Perché qui ogni mezzo aspira a diventare
un fine, e opera in questo senso. La stessa sorveglianza si sorveglia e complotta
contro se stessa.
In
definitiva, la sua principale contraddizione è che essa oggi
sorveglia, infiltra, influenza un partito assente: quello che
si presume voglia il sovvertimento dell'ordine sociale. Ma dove si può
vederlo all'opera? Perché, certo, le condizioni non sono mai state così pesantemente
rivoluzionarie ovunque, ma solo i governi lo pensano. La negazione è stata così
perfettamente privata del suo pensiero che è da lungo tempo dispersa. Per questo
essa non è altro ormai che una minaccia vaga, eppure molto inquietante, e la
sorveglianza è stata privata a sua volta del terreno migliore della sua attività. La
forza di sorveglianza e d'intervento è obbligata, proprio
dalle necessità attuali che impongono le condizioni del suo impiego, a portarsi sul
terreno stesso della minaccia per combatterla in anticipo. Per
questo converrà alla sorveglianza organizzare essa stessa dei poli
di negazione e di informarli al di fuori dei mezzi screditati dello
spettacolo, per influenzare non più stavolta dei terroristi, ma delle teorie.
XXXI
Baltasar
Graciàn, grande conoscitore del tempo storico, dice con molta pertinenza nell'Oracolo
manuale: «L'azione, il discorso, tutto dev'essere misurato col tempo. Bisogna
volere quando è possibile; perché né la stagione né il tempo aspettano nessuno».
Ma Ornar
Khayyàm, meno ottimista: «Per parlare chiaramente e senza misteri,/ Siamo i
pezzi del gioco del Ciclo; / Facciamo divertire sulla scacchiera dell'Essere, / E poi torniamo a uno a
uno nella cassa del Nulla».
XXXII
La
Rivoluzione francese provocò grandi cambiamenti nell'arte della guerra. Fu dopo quell'esperienza che Clausewitz potè introdurre la distinzione secondo
la quale la tattica era l'uso delle
forze nella battaglia per ottenere la vittoria, mentre la strategia era l'uso
delle vittorie per raggiungere gli
obiettivi della guerra. L'Europa rimase
soggiogata, subito e a lungo, dai risultati. Ma la teoria è stata stabilita solo in seguito, e sviluppata in modo disuguale. Dapprima furono compresi gli aspetti positivi provocati direttamente da
una profonda trasformazione
sociale: l'entusiasmo, la mobilità che regnava nel paese, in maniera relativamente indipendente
dagli arsenali e dai convogli, la moltiplicazione degli effettivi. Un giorno
questi elementi pratici furono equilibrati dall'entrata in azione, dalla parte avversa, di elementi analoghi: le armate francesi si
scontrarono in Spagna con
un altro entusiasmo popolare; nello spazio russo si scontrarono con un paese che non poteva dar loro
da vivere; dopo
l'insurrezione della Germania si scontrarono con effettivi molto superiori. Tuttavia l'effetto di rottura, nella nuova tattica
francese, che fu la semplice
base sulla quale Bonaparte fondò la sua strategia — che consisteva nello
sfruttare le vittorie in anticipo, come acquistate a credito: nel prevedere fin dall'inizio
la manovra e le sue
diverse varianti in quanto conseguenze di una vittoria non ancora riportata ma che lo sarebbe stata sicuramente al primo
scontro —, derivava
anche dall'abbandono forzato di idee sbagliate. Quella tattica era stata bruscamente
costretta a liberarsi da tali
idee sbagliate, trovando al tempo stesso, grazie all'azione concomitante delle altre
innovazioni citate, i mezzi
di tale liberazione. I soldati francesi, arruolati da poco, erano incapaci di
combattere in linea, cioè di restare nelle loro file e di eseguire il fuoco a comando. Allora si spiegheranno in ordine
sparso e praticheranno
il fuoco a volontà marciando sul nemico. Ora, il fuoco a volontà era proprio l'unico
efficace, quello che operava
veramente la distruzione per mezzo del fucile, la più decisiva all'epoca nello scontro
degli eserciti. Tuttavia
il pensiero militare aveva negato universalmente una tale conclusione nel secolo che terminava, e la
discussione su tale
questione ha potuto protrarsi ancora per quasi un altro secolo, nonostante i costanti esempi della pratica dei combattimenti, e i
progressi incessanti nella
portata e nella velocità di tiro del fucile.
Analogamente, l'insediamento del
dominio spettacolare è una trasformazione sociale così profonda da aver cambiato
radicalmente l'arte di governare. Questa semplificazione, che ha dato così in
fretta simili frutti nella pratica, non è stata ancora pienamente
compresa teoricamente. Vecchi pregiudizi smentiti dappertutto, precauzioni
diventate inutili e perfino tracce di scrupoli d'altri tempi
sono ancora d'ostacolo nel pensiero di numerosi governanti a tale
comprensione, che la pratica generale dimostra e conferma ogni giorno. Non
solo si fa credere agli assoggettati che si trovano ancora in larga misura in un
mondo che è stato fatto sparire, ma a volte i governi stessi soffrono per
certi versi della stessa incongruenza. Capita loro di pensare a una
parte di ciò che hanno soppresso come se fosse rimasta reale e dovesse
perciò restare presente nei loro calcoli. Questo ritardo non
si protrarrà molto. Chi ha potuto far tanto senza fatica andrà necessariamente
oltre. Non si deve credere che coloro che non hanno capito abbastanza in fretta tutta
la flessibilità delle nuove regole del loro gioco e la sua
sorta di barbara grandezza possano mantenersi in modo duraturo, come un arcaismo,
nei dintorni del potere reale. Il destino dello spettacolo non è
certo di finire come un dispotismo illuminato.
Occorre
concludere che è imminente e ineluttabile un ricambio nella casta cooptata che
gestisce il dominio e in particolare dirige la protezione di tale dominio. In tale
campo, ovviamente, la novità non sarà mai esibita sulla scena dello spettacolo.
Essa appare soltanto come il fulmine, che si riconosce unicamente dai suoi colpi.
Questo ricambio, che concluderà in modo decisivo l'opera dei tempi
spettacolari, si verifica con discrezione, pur riguardando persone già
tutte collocate nella sfera del potere, come un complotto segreto.
Selezionerà coloro che vi prenderanno parte in base a questa esigenza
principale: che sappiano chiaramente da quali ostacoli sono
liberati, e di che cosa sono capaci.
XXXIII
Lo stesso
Sardou dice anche: « Vanamente è relativo al soggetto; invano è relativo
all'oggetto; inutilmente è senza utilità per tutti. Si è lavorato vanamente
quando lo si è fatto senza successo, in modo da perdere tempo e fatica:
si è lavorato invano quando lo si è fatto senza raggiungere
lo scopo che ci si prefiggeva, a causa del difetto dell'opera. Se non riesco a
svolgere il mio compito, lavoro vanamente; perdo inutilmente tempo e
fatica. Se il mio compito svolto non ha l'effetto che mi aspettavo,
se non ho raggiunto il mio scopo, ho lavorato invano; ossia ho fatto
una cosa inutile...
«Si dice
anche che uno ha lavorato vanamente quando non è ricompensato per il suo
lavoro, o quando tale lavoro non è apprezzato; perché in tal caso il lavoratore ha perso
tempo e fatica, senza pregiudicare in nessun modo il valore del suo lavoro,
che peraltro può essere eccellente».
(Parigi, febbraio-aprile 1988)
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